by Editore | 30 Marzo 2011 6:47
È un esercito che non ha bisogno neppure di essere incoraggiato, visto che l’80 per cento dei migranti tunisini, al momento dello sbarco a Lampedusa, ha indicato Francia, Germania e Svizzera come meta del proprio viaggio della speranza. Soprattutto, è un esercito che promette di ingrossarsi nei giorni a venire (ieri, su un treno proveniente da Lecce, sono stati fermati alla stazione di Torino Porta Nuova 22 clandestini ospitati fino a ventiquattro ore prima nel centro di Manduria). E che, nei fatti, aumenta la pressione sulle autorità di frontiera francesi. È la leva con cui Roma conta di far saltare i nervi di Parigi, di trascinarla al centro della crisi, aprendo un caso che solleciti l’Unione a farsi carico collettivamente dell’emergenza dei profughi. È l’incidente politico con cui la maggioranza è convinta di poter mettere in discussione o comunque denunciare non solo «il disinteresse dell’Europa», ma anche «l’inadeguatezza» delle norme della seconda convenzione di Dublino con cui l’Unione rende responsabile unico dei «migranti richiedenti asilo» il Paese europeo in cui abbiano per primo messo piede. In questo caso, appunto, l’Italia. «Non c’è alcun dubbio – conviene una qualificata fonte tecnica del ministero dell’Interno – che i numeri che si registrano al confine con la Francia in questi giorni sono assolutamente eccezionali. Diciamo che il ministero sta tenendo le maglie larghe. Per carità , in periodi di emergenza, è fisiologico che ci siano e vengano tollerate delle “dispersioni” dai centri di accoglienza. Anche perché servono a decongestionare. Ed è altrettanto fisiologico che, in queste situazioni, ai nostri valichi di frontiera venga chiesto informalmente di chiudere un occhio su chi manifesta l’intenzione di dirigersi fuori dai nostri confini, a meno che non vi siano problemi di ordine pubblico. Certo, questa volta i numeri sono davvero importanti». Lo conferma un dato statistico. Nel 2008, quando l’Italia sostenne un flusso di 38 mila migranti, lo “sgocciolamento” di clandestini verso altri Paesi dell’Unione rimase sotto il tetto fisiologico del 5 per cento. Oggi, se si assume come dato di ingresso i 21 mila 700 tunisini sbarcati a Lampedusa dal gennaio scorso, quella percentuale di “perdite” verso il nostro confine settentrionale sale quasi al 20 per cento. Del resto, non sono solo i numeri a documentare che nella “dispersione” di migranti verso altri confini – quello francese in primis – c’è del metodo, per quanto non dichiarato. A monte del piano che il governo si prepara a varare di intesa con le Regioni per l’apertura di almeno una dozzina di centri di accoglienza, c’è infatti un’indicazione che in questi giorni il Viminale ha trasmesso, attraverso la sua unità di crisi, a tutte le Prefetture interessate dall’emergenza. Le strutture di accoglienza, quale che esse siano (tendopoli, prefabbricati, strutture militari dismesse), dovranno avere la caratteristica della «precarietà ». Nulla, insomma, che le faccia somigliare a fortezze destinate a durare nel tempo. Nulla che le renda prigioni da cui è impossibile allontanarsi volontariamente. E per più di un motivo, è il ragionamento del ministro dell’Interno. Per rassicurare le comunità locali sulla «temporaneità » delle strutture e dunque sulla natura «eccezionale» del momento. Per non trasformare delle tendopoli in ingestibili campi di detenzione a cielo aperto. Per convincere gli ospiti che a quella condizione di precarietà , c’è pur sempre un’alternativa nell’allontanamento volontario verso altri lidi. Non è un caso – come conferma una fonte qualificata del Viminale – che lo statuto giuridico della dozzina di siti di accoglienza contemplati dal piano verrà definito solo nel momento in cui vi faranno ingresso i migranti trasferiti da Lampedusa. Insomma, si deciderà se farne dei “Cie” (Centri di idenificazione ed espulsione), dei “Cpa” (Centri di prima accoglienza) o dei “Cara” (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) soltanto quando il governo avrà chiaro lo stato giuridico degli ospiti che vi verranno smistati e soltanto quando sarà stabilito in che misura limitarne la libertà di movimento (solo i “Cie”, infatti, prevedono la sorveglianza armata e il divieto di allontanamento dei detenuti).
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