by Editore | 30 Marzo 2011 6:34
NEW YORK – L’America aveva un «imperativo morale e un interesse strategico», per intervenire a impedire un massacro di civili in Libia. Una guerra «etica» perché stare a guardare sarebbe «un tradimento di ciò che siamo». Ma anche necessaria a impedire la destabilizzazione di Egitto e Tunisia nella transizione verso la democrazia. L’azione militare però non ha l’obiettivo di «cambiare un regime» come in Iraq nel 2003. La partenza di Gheddafi è «un obiettivo della politica americana» ma non della risoluzione Onu. Nel suo discorso di lunedì sera alla National Defense University, Barack Obama ha posto le fondamenta di una sua “dottrina”. Se ne sentiva il bisogno, dopo più di una settimana di bombardamenti; e mentre le rivolte del mondo arabo possono riproporre in altre aree il dilemma libico. Nella dottrina Obama c’è un’etica della responsabilità umanitaria, declinata però in una visione nuova del ruolo degli Stati Uniti nel mondo: una superpotenza limitata, che sa di non poter più fare il poliziotto globale. Sempre più spesso quest’America dovrà delegare ad altri, e fare un passo indietro. È un delicato equilibrio quello che Obama disegna: tra i falchi di destra alla John McCain che vogliono «marciare su Tripoli come bisognava farlo su Baghdad già nel 1991», e i teorici del «dovere d’ingerenza umanitaria» come l’ambasciatrice Usa all’Onu Susan Rice e la consigliera sui diritti umani Samantha Power. Mentre nell’opinione pubblica l’entusiasmo per questo intervento è già sceso al di sotto del 50%. L’appello ai valori è centrale («altre nazioni possono girarsi dall’altra parte quando vengono commesse atrocità , noi siamo diversi») però non basta, dopo lo scempio che di quei valori fecero i neocon di George Bush con l’esportazione della democrazia in Iraq. «Otto anni di guerra, migliaia di morti americani e iracheni, quasi mille miliardi di spesa», ricorda Obama che da senatore dell’Illinois fece campagna contro la guerra del 2003. Perciò sulla Libia deve chiamare in causa un interesse nazionale. E lo spiega così: il massacro dei civili avrebbe provocato nuove ondate di profughi verso Egitto e Tunisia col rischio di indebolire la loro evoluzione politica. Inoltre lasciare a Gheddafi la libertà di far strage avrebbe mandato il segnale sbagliato a tutti i dittatori ancora al potere in quell’area. «Gli impulsi democratici che stanno sorgendo in tutta la regione sarebbero stati eclissati dalle forme più brutali di autoritarismo, i dittatori repressivi avrebbero tratto la conclusione che la violenza è la migliore strategia». Obama ha escluso nuovamente ogni possibilità di invio di truppe terrestri; ha confermato il trasferimento delle responsabilità di comando alla Nato, con un ruolo preponderante degli alleati europei. Nell’elencare le nazioni che conducono l’operazione ha menzionato l’Italia. Ha taciuto sull’esclusione clamorosa del governo italiano dalla videoconferenza che di lì a poco lo avrebbe collegato con Sarkozy, Cameron e Angela Merkel. Indiscrezioni di fonte americana suggeriscono un’interpretazione: dovendo discutere in quella conferenza le possibili opzioni per l’uscita di scena di Gheddafi, l’Italia non era considerata come un alleato “a tenuta stagna”, visti i precedenti di fughe di notizie. Un altro mistero che Obama non ha sciolto, è perché l’aviazione Usa abbia intensificato il suo impegno (fino a dispiegare i C-130, più precisi ma più vulnerabili perché volano a bassa quota) proprio mentre il presidente confermava il passo indietro delle forze Usa. La spiegazione ufficiosa del Pentagono: i progressi degli insorti sono effimeri e facilmente reversibili senza una massiccia copertura aerea. Obama ha concluso riassumendo così la sua filosofia: «È vero che l’America non può usare la sua forza militare ogni volta che accade una repressione. E dati i costi e i rischi di un intervento, dobbiamo sempre bilanciare il bisogno dell’azione misurandolo con i nostri interessi. Ma questo non può diventare un alibi per non agire mai a difesa della giustizia». Un’azione che comunque nell’èra Obama vuole essere segnata dal multilateralismo, dalla cooperazione, dal rispetto della legalità internazionale. Il discorso non è bastato a sopìre le critiche. Fra tutte spicca quella del presidente della Camera, il repubblicano John Boehner: «Gli americani non hanno ancora capito qual è la definizione della vittoria, in Libia».
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