by Editore | 31 Marzo 2011 6:44
BENGASI – Le avevo lasciate due giorni fa a 600 chilometri, in prossimità di Bin Jawad, sulla strada per Tripoli, e adesso li ritrovo alle porte di Ajdabiya, a un’ora e mezza d’automobile da Bengasi. Dove è ritornata la paura. E’ un’altalena sanguinosa. I morti ieri sono stati numerosi. Le truppe di Gheddafi hanno imparato a usare l’artiglieria mentre gli shabab non hanno ancora imparato a proteggersi. E hanno perduto per una sola scarica di katiusha 25 uomini, in prossimità del centro petrolifero di Ras Lanuf. I due schieramenti si alternano, nelle ritirate precipitose e nelle avanzate trionfanti ma effimere. Ora battono in ritirata i ribelli che due giorni fa avanzavano trionfanti, sicuri di conquistare la Sirte, la provincia natale di Gheddafi, trampolino strategico verso Tripoli. La situazione si è capovolta in un batter d’occhio. La controffensiva dei gheddafisti ha messo in fuga i ribelli, la cui ritirata ha riportato l’inquietudine a Bengasi, dove gruppi di shabab si sono assiepati alle porte della città , come se fossero già impegnate a proteggersi da un assedio. I lealisti, i soldati del raìs, che davamo per smarriti e ormai incapaci di opporre una seria resistenza, dopo aver perduto gran parte dei mezzi blindati e dell’aviazione, si sono dimostrati quanto mai gagliardi. Hanno adottato una tattica nuova. Non lasciano più i carri armati allo scoperto, offerti ai missili degli aerei della coalizione, da oggi sotto il comando militare della Nato. Li interrano lasciando scoperto, in superficie, rasoterra, soltanto il cannone e la mitragliera. Proteggono anche i lanciarazzi, imponendogli una gittata diretta, come quella di un fucile, e non più una parabola. Gli shabab sono stati sorpresi da quei tiri, e hanno lasciato sul terreno decine di uomini. E poi si sono ripiegati in disordine. Offrendo il fianco alle imboscate dei gheddafisti, lungo il percorso, e cedendo importanti centri petroliferi come Bin Jawad, Ras Lanuf, Brega, in larga parte paralizzati, spesso fuori uso in questa fase del conflitto. I gheddafisti sono stati favoriti dalla scarsa attività degli aerei della coalizione, ora passati sotto la direzione militare della Nato. Il cielo sgombro ha permesso la veloce avanzata sulla strada litorale, dove qualsiasi automezzo, blindato o non blindato, è un facile bersaglio per i missili. Gli shabab, che avevano compiuto, negli ultimi giorni, eccezionali progressi grazie ai Mirages, ai Rafales e ai Tornado, si sono sentiti nudi. Indifesi. Il loro modesto armamento, costituito essenzialmente di kalashnikov, consente di avanzare su un terreno già spazzolato dall’aviazione. E nelle ultime ore l’aviazione non si è fatta molto vita. Anche se i portavoce della Nato annunciano un’imminente ondata di incursioni. La pausa forse dovuta al passaggio di comando alla Nato, appare comunque non in sintonia con l’intensa attività politica in favore della Libia libera. Alla riunione di Londra, dove Gheddafi è stato «condannato» a un esilio senza salvacondotto che quindi non gli garantisce l’immunità , c’è stato un semi-riconoscimento del consiglio nazionale di transizione dei ribelli. Il quale è ormai trattato come se fosse un governo provvisorio. Ha già accreditato un ambasciatore, quello francese, e ospita un diplomatico americano e uno inglese. Altri provengono dal mondo arabo. L’attività militare non corrisponde finora a questo significativo appoggio politico. La spiegazione risiederebbe nella tattica della Nato. E’ per esporli agli attacchi aerei che i gheddafisti sono stati lasciati liberi di scorrazzare sulla strada litoranea. Ed anche per logorarli, come accade a corridori costretti a percorrere una pista fino allo sfinimento. Spinti da Gheddafi a promuovere offensive, poi respinte dagli aerei della coalizione e costretti a fare il cammino a ritroso, e così via, le truppe lealiste dovrebbero consumare tutte le loro energie. E finire col ribellarsi al raìs. Il quale disponeva un tempo di 50.000 uomini, adesso ridotti a 10.000. Questa è la tattica aggiudicata alla Nato e da verificare nelle prossime ore. Una conferma avvalorerebbe la crisi secondo la quale si vuole evitare una battaglia a Tripoli, dove i regolamenti di conti condurrebbero a un bagno di sangue. Gli shabab sono simpatici, generosi, ma il loro entusiasmo unito al desiderio di vendetta, può condurre a un’inevitabile violenza. Si punta dunque sul logoramento del regime di Tripoli, sulla diserzione di reparti e tribù, via via convinti di essere agli ordini di una raìs senza futuro. In questa situazione si innesta il dilemma delle armi. Washington e Parigi non escludono che si possano dotare gli shabab di mezzi più efficaci di quelli di cui dispongono finora. Ed anche di una guida militare. Gli uomini che avanzano o fuggono sulla strada litorale, lunga 1.200 chilometri tra Bengasi e Tripoli, vero campo di battaglia di questa guerra civile, sono raccolti in bande, senza la minima preparazione. Insieme alle armi bisognerebbe quindi fornire anche degli esperti incarichi di insegnare ad usarle, e degli addestratori per fare unità combattenti delle bande anarchiche. Gli shabab in ritirata alle porte di Ajdabiya, la città recuperata la settimana scorsa e già sul punto di ritornare nelle mani di Gheddafi, offrivano uno spettacolo di grande confusione. Spesso si accendevano risse fra compagni. Ed era vana la ricerca di un capo. Fornire armi senza esperti incaricati dell’addestramento sarebbe inutile. Ma fornirli equivarrebbe a un impegno ulteriore, questa volta a terra, che Washington, e forse anche Parigi, vogliono evitare.
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