Nel mirino del Quirinale il decreto mille-poltrone
ROMA – Risuscita l’emendamento Alemanno – che porta da 12 a 15 gli assessori e da 48 a 60 i consiglieri comunali nelle città sopra un milione di abitanti – e sul Quirinale scatta di nuovo la massima attenzione. Il testo del decreto (varato l’altro ieri dal Consiglio dei ministri) fino al tardo pomeriggio di ieri non era stato ancora trasmesso nella sua versione definitiva da Palazzo Chigi: sul Colle era arrivata solo una bozza. Segno che il governo continua a lavorarci sopra ma il testo completo è atteso da un momento all’altro. Anche perché i tempi sono stretti. Napolitano parte domani per una visita negli Stati Uniti, e quindi la sua decisione dovrà arrivare necessariamente in queste ore. A meno che il governo non ci ripensi. Il clima con il Quirinale è gelido, dopo lo scontro sul neoministro Romano, e un nuovo strappo ravvicinato renderebbe tutto più difficile per il premier. Gli uffici del Colle sono al lavoro per sciogliere i dubbi che ancora una volta tornano ad affacciarsi: sussistono i requisiti di necessità e urgenza per firmare un provvedimento che moltiplica le poltrone per assessori e consiglieri a Roma e Milano? O non andrebbe, per la seconda volta, rispedito al mittente tanto più che, di nuovo, il provvedimento viaggia infilato in un decreto-omnibus che spazia dai Fondi Fus a Pompei? Probabilmente il tentativo in extremis del governo, per evitare di incorrere nei fulmini del Quirinale, è proprio quello di sganciare la legge salva-assessori dal resto degli interventi previsti nel decreto. Nel parere degli uffici giuridici del Quirinale infatti di certo peserà quel precedente di un mese fa, quando appunto il capo dello Stato rimandò indietro il Milleproroghe, poi spacchettato e riapprovato dalla maggioranza, stralciando norme come appunto l’emendamento Alemanno, che ora rientra dalla finestra. Un vecchio vizio del governo Berlusconi. Sottoporre un certo testo al Quirinale per poi gonfiarlo e stravolgerlo in corsa d’opera, «buttando» dentro le norme più disparate. Una «finanziaria mascherata», l’aveva bollata il capo dello Stato. «E’ una violazione delle prerogative del capo dello Stato – bocciò tutto, allora, Napolitano – perché così si elude il vaglio preventivo sui decreti che spetta al presidente della Repubblica». Avvertendo che non ci sarebbero state ulteriori concessioni: la prossima volta, davanti ad un decreto-pasticcio, non firmo. Il salva-assessori targato Alemanno non sarà forse un maxi-spezzatino come il Milleproroghe ma per molti giuristi sarebbe incostituzionale. Tanto più, come ha obiettato l’avvocato Gianluigi Pellegrino, che per conto delle consigliere donne tagliate fuori dalla giunta di Roma ha presentato un ricorso al Tar, che si intreccia pericolosamente con le amministrative di metà maggio. Se dovesse passare il principio dei 60 consiglieri da eleggere a Milano e Napoli (dove si vota) ma poi il decreto non venisse convertito, che fine farebbero quei consigli comunali? Ecco perché la Corte costituzionale, all’epoca dello scontro sul decreto salva-liste del governo per le Regionali nel Lazio, stabilì il principio che non vanno regolate a colpi di decreto le faccende elettorali. Secondo Pellegrino, Alemanno con la lievitazione delle poltrone spera di imbarcare qualche donna (per ora un solo assessore) ed evitare la possibile condanna del Tar per violazione della parità di genere. Al contrario La Lega a Milano chiede a sindaco Moratti di tagliare comunque i posti in consiglio e in giunta, nel caso fosse rieletta, «per dare il buon esempio». Dal Pd e dall’opposizione, un fuoco di sbarramento. «E’ incostituzionale», accusa il vicepresidente dei senatori democratici Luigi Zanda, «oltre che politicamente immorale: il sindaco di Roma gonfia le poltrone per distribuirle e tentare di salvare la sua giunta fallimentare». Sperando che sul Colle il decreto finisca per seguire la stessa sorte toccata al Milleproroghe.
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