Napolitano all’Onu: «Il mondo non poteva non reagire»

Loading

NEW YORK — «Il mondo non poteva assistere senza reagire alle molte vittime e alle distruzioni massicce inflitte dal leader libico alla sua stessa popolazione» . Ora, dato che la «responsabilità  di proteggere ricade sulle Nazioni Unite» e che il capitolo 7 della Carta Onu «contempla specificamente l’uso della forza per mantenere la pace e la sicurezza» , i Paesi impegnati nella missione Unified Protector agiscono «nella piena legittimità  internazionale conferita dalla risoluzione 1973 lo scorso 17 marzo dal Consiglio di sicurezza» . Giorgio Napolitano parla all’Assemblea del Palazzo di Vetro e, spiegando la nostra posizione, ridimensiona dubbi e dissonanze espressi da alcune voci importanti del governo (su tutti Maroni, con la sua metafora sull’ «errore» di essere entrati nella «palude Libia» , ma non solo). Insomma: «L’Onu può contare sull’Italia» , dice diretto e senza sfumature il presidente al segretario generale Ban Ki-Moon (che lo accoglie definendolo «una guida morale» ), durante un faccia a faccia in cui riassume la scelta compiuta a Roma dal Consiglio supremo di difesa. L’operazione che vede mobilitati anche noi è nata con tutti i crismi della legalità , coerente con lo spirito delle Nazioni Unite e con l’articolo 11 della Costituzione. Un intervento che beninteso, aggiunge in inglese dal podio, «non significa pretendere di esportare uno specifico modello di democrazia, ma promuovere e proteggere i diritti fondamentali, civili e politici, e le libertà  religiose, come precondizione per l’autonoma realizzazione, dal basso e con modalità  diverse per ogni singolo Paese, dei sistemi democratici» . Certo, neppure il capo dello Stato si nasconde «la preoccupazione rispetto alla piega presa dagli eventi» , perché «nessuno gradisce l’instabilità  alla propria porta di casa» . Tuttavia non è possibile ignorare che, sulla sponda sud del Mediterraneo, soffiano «venti di libertà , domande di dignità  umana e giustizia sociale» ai quali bisogna dare risposta «difendendo i diritti civili, rafforzando la legittimità  internazionale e lo Stato di diritto» . Per molto tempo non lo abbiamo fatto, recrimina (e l’Italia pure di recente, sembra il sottinteso). Mentre invece «avremmo dovuto essere maggiormente consapevoli delle possibili conseguenze di forme autoritarie di governo e della corruzione diffusa nei circoli ristretti del potere» . Oggi per fortuna, nella primavera araba appena cominciata, qualche governo ha «coraggiosamente intrapreso la direzione del negoziato politico, del dialogo con la società  civile e della partecipazione democratica» . Un aiuto per loro, bilaterale e internazionale, è già  previsto: «Non rimarranno soli né isolati» , e si dovrà  puntare a una «stabilizzazione» di lungo periodo. Promessa che, anche se «non si sottovalutano nel modo più assoluto i costi umani e i rischi delle azioni militari» , non può però valere per Gheddafi. Il quale, avendo «rigettato numerosi appelli internazionali e risposto al dissenso con la repressione, alla protesta civile con la forza militare, e su una scala senza precedenti» , ha voluto mettersi contro tutti. «Perdendo ogni legittimità » . Per il suo futuro vale quella che il capo dello Stato presenta come una profezia: «Sta per tramontare l’era dei regimi che nascondono la verità , che limitano il movimento delle persone e fanno ricorso a menzogne, alla corruzione e a false rappresentazioni del mondo esterno» . Una profezia anticipata nel discorso pronunciato al Cairo nel 2009 da Obama, che Napolitano cita come un «faro per la trasformazione in atto nel Mediterraneo» , confermando così ancora una volta la propria sintonia con il presidente Usa. Poi, dopo un excursus che ha spaziato dai 150 anni dell’Unità  d’Italia alla nostra vocazione europea e multilaterale, congiunta all’impegno nel foro dell’Onu (di cui siamo il sesto contributor), Napolitano si proietta sulle sfide del mondo globale. In serata, a riprova che il viaggio a New York va ben oltre la «rappresentanza» e che lui resta un interlocutore privilegiato degli Usa, ha incontrato Henry Kissinger.


Related Articles

Il sergente Born to kill: così uccisi 2.746 iracheni

Loading

WASHINGTON. CONTAVA le teste come i petali delle margherite: morto, non morto, e nel dubbio, poiché era “umano”, finiva quelli ancora vivi. Il sergente Dillard Johnson contò 2.746 iracheni uccisi da lui in un mese di guerra, record assoluto di petali umani staccati per un soldato da quando l’esercito Usa tiene questa contabilità.

Siria. Il giovane italiano ucciso dall’Isis, «Lorenzo non è un caduto di serie b»

Loading

Il ricordo dei suoi compagni di lotta a Rojava. Tra una settimana, intanto, l’udienza per i cinque torinesi ex Ypg per cui Digos e Procura hanno chiesto la sorveglianza speciale

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment