Molti sì all’intervento in Libia arrivano da sinistra. E il fronte del no fa adepti a destra.

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L’intervento in Libia è stato approvato ieri a Madrid con appena tre voti contrari e un’astensione, contestato solo da uno sparuto gruppo di pacifisti. Anche il premier spagnolo entra a far parte dei nuovi interventisti di sinistra mentre nelle destre europee, non solo in Italia, avanzano i pacifisti realisti, accodati al niet della Germania di Angela Merkel. L’intervento militare in Libia cambia le posizioni, inverte le parti solitamente assegnate, impone nuovi distinguo, forse archivia categorie del passato. Colombe a destra, falchi a sinistra. Davanti all’attacco alla Libia, in Europa (e in Italia) il fronte degli antimilitaristi cambia assetto Politici e intellettuali giocano in ruoli differenti dal passato, quando giudicarono la missione in Iraq. Il movimento ora scende in piazza. E intanto cerca un’altra identità . Così è cambiata la mappa dei “no war” L’ex sessantottino Daniel Cohn-Bendit ha modificato la sua posizione: oggi è interventista In un decennio le opinioni pubbliche occidentali hanno dovuto affrontare quattro conflitti Come ai tempi della guerra in Kosovo, poi dell’Afghanistan e dell’Iraq, il fronte “no war” è attraversato da proclami ma anche dubbi e affronta in ordine sparso la sua quarta guerra in poco più di un decennio. Il movimento pacifista, che il New York Times ha definito la “seconda potenza mondiale”, si scopre fragile al suo interno. Questa volta la mobilitazione stenta a partire, forse perché molti hanno ancora negli occhi le immagini alla tv di Gheddafi che tratta gli oppositori come «ratti» da sterminare in un «bagno di sangue». A complicare il quadro c’è oggi il mandato dell’Onu, che mancava per l’Iraq e in qualche modo legittima la «responsabilità  di proteggere» le popolazioni civili, anche con l’uso della forza. Esitazioni che hanno scatenato immancabili ironie degli americani, che hanno visto scendere in piazza gli europei contro le “loro” guerre. “Che fine hanno fatto i pacifisti?” si chiede l’Atlantic Monthly. I pacifisti tout court «Quando comincia un conflitto c’è sempre un momento di tentennamento e riflessione, anche per l’Iraq è stato così» racconta il militante britannico Andrew Burgin di Stop the War Coalition che ha appena organizzato presidi a Londra. «Ma presto la gente inizierà  a chiedersi qual è il vero motivo per cui stiamo bombardando la Libia e allora capiranno che le vittime civili sono solo un pretesto per sporchi interessi economici». Il pacifismo puro e duro ha reagito con appelli che circolano online. L’Italia sarà  il primo Paese a rappresentare in piazza l’ala più intransigente alla guerra con la manifestazione di sabato, capeggiata da Emergency, l’associazione Libera di don Luigi Ciotti e Pax Christi. «Il tema della pace è stato cancellato dalla politica e dall’informazione – spiega Flavio Lotti della Tavola della Pace – ma questo non significa che non sia radicato nella coscienza di milioni di persone. Se la guerra dovesse scoppiare sul serio, sono certo che si faranno sentire». Non è un conflitto, come gli altri, questo è certo. E allora, anche da noi, avvengono saldature di persone portatrici di storie molto differenti tra loro. «Noi, che siamo cittadini di un Paese che porta grandi responsabilità  per la situazione che storicamente si è creata in Libia, ci dichiariamo disponibili a sostenere ogni azione legittima che contribuisca a fermare lo spargimento di sangue e a trovare una soluzione politica alla crisi, mentre dichiariamo la nostra ferma contrarietà  a ogni azione bellica condotta dall’esterno contro un Paese sovrano». È l’incipit di un appello lanciato da Giulietto Chiesa, giornalista, ex eurodeputato, comunista, che non a caso lo definisce «parere comune di privati cittadini» e lo titola “Uniti ma diversi”. Perché a firmarlo, tra gli altri, sono pacifisti a tutto tondo come padre Alex Zanotelli, accanto ad Angelo Del Boca, scrittore e storico del colonialismo italiano, e un saggista come Massimo Fini, non proprio ascrivibile al movimento Arcobaleno. Come la Spagna del ’36 Ad ogni guerra si riproducono le lacerazioni nel popolo di sinistra. Ma oggi tutto è diverso. Per alcuni l’appoggio ai ribelli di Bengasi, con la speranza di un avvenire democratico per la Libia, è doveroso. «Hanno i nostri stessi valori, vogliono libertà  e democrazia. Bisogna impedire a un tiranno di spezzare la rivoluzione» dice Jean-Luc Melenchon, nuova stella dell’estrema sinistra in Francia. Ed ecco quindi il paradosso dei pacifisti Verdi tedeschi che criticano la Cancelliera per non aver partecipato alla coalizione che sta bombardando Tripoli. «È scandaloso essersi chiamati fuori» dice l’ex ministro degli Esteri Joschka Fischer. Per l’altro esponente di spicco del partito, Daniel Cohn-Bendit, intellettuale condiviso con la Francia, si rischia di ripetere l’errore del 1936, quando la Madrid democratica fu lasciata sola contro il putsch di Franco. L’esempio dei nuovi interventisti di sinistra viene proprio dalla Spagna, con Zapatero l’ex pacifista convertito alla guerra in Libia. La destra non bellicista Per convenienza, perché al primo posto vengono gli interessi nazionali. È la vera novità  di questa guerra. L’astensione della Germania all’Onu durante il voto per la risoluzione sulla Libia ha fatto scuola. Angela Merkel ha diviso il suo stesso schieramento. «La nostra discussione per il voto sulla Libia mi rattrista» ha commentato ieri la Cancelliera nel corso di un incontro della Cdu. «È stata una scelta fatta con argomenti ponderati». Più che un pacifismo etico, è una scelta dettata da interessi materiali e non ideologici, a cui si richiamano in Italia anche la Lega e alcuni giornali di destra. Non è un’opposizione alla guerra tout court, ma il rifiuto di questa guerra. Diversamente interventisti È il pacifismo “realista”, che prevede l’intervento umanitario per fermare ulteriori massacri di civili e liberare il popolo libico dal Nerone di Tripoli. La condizione per tutti è il mandato dell’Onu che ha coniato appositamente un nuovo principio, inaugurato con questa guerra: la responsabilità  di proteggere i civili. È una posizione a cui si richiamano diverse associazioni umanitarie straniere, tra cui Medecins du Monde. È una scelta senza “se” e con alcuni “ma”, come quella del presidente delle Acli, Andrea Olivero. «Il comando delle operazioni in Libia deve passare il prima possibile all’Onu: solo le Nazioni Unite possono garantire la trasparenza e la legittimità  internazionale di un intervento che sia davvero e solamente a scopi umanitari».


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