Minori in carcere: sempre di meno, ma il sistema non funziona per tutti

by Sergio Segio | 24 Marzo 2011 13:49

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ROMA – Un sistema che funziona bene, ma non per tutti. La situazione, negli istituti penali per minorenni, è decisamente meno difficile rispetto alle carceri per adulti, ma ancora di più rispetto a queste gli istituti per minori sono “contenitori di marginalità  sociale”, dove “si trovano solo stranieri, rom e ragazzi italiani delle periferie delle grandi città  del sud”. Il quadro emerge dal rapporto “Ragazzi dentro”, realizzato dall’associazione Antigone, che nel 2008 per la prima volta è stata autorizzata a monitorare anche il sistema penitenziario per i minori. Il rapporto è dunque frutto dell’osservazione diretta da parte di 16 volontari che hanno visitato e raccolto i dati relativi ai 19 istituti penali per minorenni (Ipm) presenti sul territorio nazionale.

In termini globali, con riferimento all’intera popolazione minorile, l’indagine sottolinea la diminuzione del numero di minorenni negli istituti di pena: una tendenza in atto già  dal 1975, “anno in cui la criminalizzazione dei minori aveva raggiunto le sue punte massime”, e che poi la riforma penitenziaria approvata lo stesso anno (con un importante cambiamento culturale) contribuiva ad accrescere. Negli ultimi decenni si è assistito dunque nel tempo ad una massiccia “de-carcerizzazione” dei minorenni. Il rapporto segnala un andamento sostanzialmente stabile della criminalità  minorile, mentre il dato degli ingressi nei Centri di prima accoglienza (Cpa) è decisamente decrescente, passando dalle 4.222 unità  del 1998 alle 2.344 del 2010, con una diminuzione di quasi il 50%. E’ una tendenza opposta rispetto a quella della detenzione degli adulti, che nello stesso periodo ha visto il numero di detenuti adulti crescere a dismisura.

Tuttavia il rapporto segnala anche la permanenza di alcuni problemi: oltre al fatto che la popolazione carceraria è diretta espressione dei ceti sociali più marginali, sono emerse difficoltà  riguardo alla fatiscenza delle strutture detentive, definite “spesso vecchie e malandate” e al diritto alla salute, garantito “a macchia di leopardo”. Infatti nel passaggio di competenze dal ministero della Salute alle singole regioni, stabilito dalla riforma della sanità  penitenziaria, ci sono stati ritardi, incertezze organizzative o interruzione dei servizi nel periodo di transizione da un sistema all’altro: i problemi sono particolarmente gravi in Sicilia e in Sardegna, dove il passaggio deve, di fatto, ancora avvenire.

Riguardo la condizione delle strutture, emerge un livello insufficiente di manutenzione, che in alcuni casi ha reso necessario interventi straordinari che hanno ridotto la capienza complessiva del sistema carcerario minorile, creando non poche difficoltà . In particolare sono chiusi per ristrutturazione gli istituti di Lecce e L’Aquila, mentre ci sono lavori in corso a Catanzaro, Milano e Torino. Gli istituti di Firenze e Acireale vengono infine segnalati in quanto concepiti con criteri definiti incompatibili con la destinazione attuale di Ipm. Sulla stessa linea d’onda, emergono anche delle difficoltà  nell’organizzare e svolgere le cosiddette “attività  trattamentali” destinate ai ragazzi detenuti, con le quali offrire strumenti utili per il reinserimento dopo la pena e dare così un senso al periodo trascorso in carcere dai minori. Il rapido turn-over dei detenuti (in media i minori rimangono negli istituti di pena per un paio di mesi) rende difficoltoso organizzare queste attività , ragione per cui gli autori auspicano un maggiore coordinamento tra i servizi presenti negli istituti e quelli sul territorio.

Il rapporto segnala poi alcuni fenomeni di violenza che si sono verificati in alcuni istituti penali per minorenni, in particolare a Lecce, per cui è in corso un processo contro nove agenti imputati per violenza su minori, e a Torino, dove invece è in corso il processo a un agente accusato di lesioni gravissime. Infine secondo lo studio rimangono irrisolte alcune questioni di vecchia data, come la mancanza di un ordinamento penitenziario specifico per i minori (soluzione prevista dalla legge penitenziaria del 1975, ma mai realizzata), o il fatto che ancora oggi la misura maggiormente applicata in caso di condanna del minore sia la detenzione. (Gina Pavone)

 

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