Marchionne: “La sede della Fiat sarà  scelta cercando di far convivere testa e cuore”

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TORINO – «Dobbiamo trovare il modo di far convivere il cuore con la testa della Fiat». Sergio Marchionne risponde così, in un’intervista a Report, che andrà  in onda questa sera alle 21,30, alle polemiche sul trasferimento oltreoceano della sede legale della Fiat. L’ad ha voluto da subito rassicurare sul mantenimento delle radici di Fiat da questa parte dell’Atlantico. Nella trasmissione di Milena Gabanelli l’ad del Lingotto ripete che la scelta sulla sede legale del gruppo «non è ancora stata presa, è un problema di governance» e conferma che «dopo Mirafiori e Pomigliano i nuovi contratti verranno applicati anche a Melfi e Cassino». Giovanna Boursier, che firma il servizio, fa le pulci all’ad del Lingotto e va a cercare i coinquilini della casa svizzera dove ufficialmente vive il manager. Per scoprire che le case svizzere dell’ad sono due e che per legge può pagare le tasse in Svizzera solo se abita in Italia meno di 183 giorni all’anno. Punture di spillo da Cesare Romiti: «Gli uomini che hanno fatto la Fiat sono solo tre: Valletta, Gianni Agnelli e Cesare Romiti». La parte finanziaria è uno dei piatti forti della puntata. Dove si sostiene che nell’alleanza tra Fiat e Chrysler non entrano né i marchi di lusso come Maserati e Ferrari sia Comau e Teksid. Mentre si discute sulle future mosse del Lingotto, è di ieri la conferma che la produzione della Panda a Pomigliano inizierà  a novembre. Come preventivato. Il responsabile degli stabilimenti Fiat, Stefan Ketter, affida l’indiscrezione ad Automotive news quasi a smentire i molti che in queste ore prevedono il trasferimento del baricentro del Lingotto oltreoceano. La partenza della produzione nello stabilimento campano è infatti il primo passo concreto nella realizzazione di quel piano chiamato Fabbrica Italia con Un piano che la Cgil, ancora ieri con Susanna Camusso, continuava a considerare «poco chiaro perché non garantisce visibilità ». Nessuno infatti può dire oggi dove Marchionne investirà  i 20 miliardi di eruo promessi: «Lo vedremo in corso d’opera», ha sempre risposto l’ad di Torino. Così la conferma che il piano di Pomigliano sta rispettando i tempi sembra fatta apposta per rassicurare tutti. Certo le indiscrezioni su un piano per la fusione tra Chrysler e Fiat e addirittura sulla creazione di un pool di banche che lo garantiscano hanno messo a rumore gli osservatori e la politica italiana. Il rapporto della Reuters che è tornato l’altro ieri a ipotizzare il trasferimento a Detroit della sede legale non ha fatto che aumentare l’incertezza e le polemiche. E pochi si sono sentiti rassicurati ieri dalle dichiarazioni di Umberto Bossi che garantisce sul futuro italiano della Fiat: «Ho mandato il governatore del Piemonte, Roberto Cota, negli Stati Uniti a vedere com’è la situazione e tutto è sotto controllo». Per una coincidenza la polemica sul futuro di Fiat arriva pochi giorni prima dell’ultima assemblea degli azionisti, in programma a Torino il 30 marzo prossimo. Sarà  un momento di grande significato simbolico perché per l’ultima volta si troveranno nelle stesso bilancio l’auto, i camion e i trattori, divisi dal primo gennaio 2011 al momento dello spin off.


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L’ultimo strappo di Marchionne

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Il divorzio tra Fiat e Confindustria si è dunque consumato. Sergio Marchionne, l’Amerikano, viola anche l’ultimo tabù, e porta il Lingotto fuori da Viale dell’Astronomia. Cioè fuori dal luogo fisico, ma anche istituzionale e sociale, dove la Fiat era sempre stata dal 1910, dai tempi del senatore Giovanni Agnelli fino a Vittorio Valletta e poi all’Avvocato. Lo «strappo», anche solo per questo, si può davvero definire storico. Per un secolo Fiat e Confindustria sono state una cosa sola. La prima sceglieva i presidenti della seconda. Un unico, vero Potere Forte, che condizionava i governi e ne orientava le politiche.

Arriva il contratto unico contro la precarietà 

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E per i disoccupati il sussidio sarà  un vero aiuto.  Base di partenza la proposta del senatore del Pd, Pietro Ichino, sulla flexsecurity ispirata al modello danese. La riforma riguarderà  le nuove assunzioni, mentre non saranno toccate le regole per chi già  lavora. L’obiettivo è far assumere tutti a tempo indeterminato. E, in caso di licenziamento, scatterebbero indennità  per quattro anni. Verrà  anche rafforzato il modello di contrattazione aziendale 

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