by Editore | 30 Marzo 2011 6:30
LONDRA— Gli attacchi aerei andranno avanti fino a che Gheddafi non fermerà le sue milizie. Una volta verificato e stabilizzato il cessate il fuoco si potrà aprire una «finestra» negoziale per decidere la sorte del dittatore, non escluso, come sottolinea Hillary Clinton, la possibilità di lasciarlo partire per l’esilio. Ma la condizione, l’unica condizione per una eventuale e non scontata soluzione morbida che gli sarà prospettata nelle prossime ore da un inviato speciale delle Nazioni Unite, è che abbandoni subito il potere assieme alla famiglia, parta da Tripoli e consenta l’avvio di un processo di rifondazione democratica della Libia. Per lui non c’è più spazio nella comunità internazionale. Il giudizio è chiaro: «Ha perso ogni legittimità » , «sarà ritenuto responsabile di tutte le azioni» compiute (formulazione che contempla anche un processo internazionale), dicono nella dichiarazione congiunta 36 ministri degli Esteri, affiancati dai rappresentanti di Nato, Unione Europea, Onu, Lega Araba, Conferenza Islamica che si sono incontrati a Londra per cercare una «exit strategy» dalla situazione di stallo militare e diplomatico. Non si fanno vedere Brasile, Russia, India e Cina, il cosiddetto Bric, ma partecipano Qatar, Tunisia, Emirati Arabi, Giordania, Kuwait, Marocco, Libano e Turchia: è una parte importante del mondo islamico che prova a spingere Gheddafi alla resa. Le conclusioni si riassumono in tre punti: 1) ratificato il passaggio delle operazioni belliche al comando Nato, l’alleanza si allarga al contributo di nuove forze (la Svezia ha promesso 8 aerei da combattimento), resta in sospeso la questione della fornitura di armi ai ribelli (Parigi spinge, Londra è più cauta, Hillary Clinton sostiene che se un governo decide di dare armi ha il diritto di farlo, ipotesi che il presidente Obama in un’intervista alla tv Nbc dice di «non escludere» , mentre il segretario Nato Anders Rasmussen ripete che «siamo mobilitati «per proteggere le popolazioni e non per armarle» ); 2) viene istituito un «Gruppo di contatto» permanente con presidenza a rotazione con il compito di leadership politica, di coordinamento fra gli organismi internazionali per interventi umanitari e di supporto alle opposizioni (prima riunione in Qatar, a Doha, la seconda a Roma); 3) si legittima il ruolo del «Consiglio nazionale provvisorio» (riconosciuto ufficialmente da Francia e Qatar) quale soggetto della transizione. «Il popolo della Libia deve essere libero di determinare il suo futuro» , afferma la conferenza di Londra che sottolinea la necessità di un processo «inclusivo di tutti i libici, compreso il Consiglio provvisorio, dei leader delle tribù e altri» . La riconciliazione esclude il tiranno. È significativo che a Londra si presentino tre rappresentanti del Consiglio nazionale provvisorio, guidati da Mahmoud Jibril. Non partecipano ai lavori ma s’incontrano con numerose delegazioni. E illustrano un documento, «Una visione per una Libia Democratica» , che enuncia i valori base della ricostruzione: al bando la violenza e il terrorismo, libertà di espressione e di organizzazione, libertà politiche e sindacali, elezioni, un parlamento e «partecipazione senza alcuna forma di discriminazione» . Sono le fondamenta della nuova e futura Libia. Nella sostanza i 36 ministri degli Esteri ripetono a Gheddafi di dimettersi subito. Gli prospettano una possibile uscita indolore. «È l’ultima possibilità che ha» , sentenzia il premier del Qatar. Dopo, le opzioni saranno altre.
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