Londra, 300 mila in piazza contro i tagli
LONDRA – Trecentomila persone nelle strade, per gridare “no” ai tagli alla spesa pubblica che minacciano di dividere la Gran Bretagna fra “chi ha e chi non ha”, tra ricchi e poveri, come ai tempi della Thatcher. La più grande manifestazione sindacale di protesta degli ultimi vent’anni nel Regno Unito e la più numerosa dimostrazione di piazza a Londra da quella del 2003 contro la guerra in Iraq: il segno di un’opposizione di popolo che si risveglia, un monito che parte da Londra e arriva a tutta Europa, dove i problemi sono simili, deficit pubblico, disoccupazione, economia fragile. Ma anche scontri con la polizia vetrine infrante, raid contro banche, grandi magazzini e boutique di lusso, contusi, caos, quando una minoranza di alcune centinaia di giovani, appartenenti a gruppi radicali, anarchici, anti-capitalisti, si staccano dal corteo principale e tengono in scacco per ore il centro della capitale, tutto attorno a Piccadilly Circus. Il bilancio finale della giornata di scontri segnerà 27 feriti e circa 75 fermati dalla polizia nelle varie zone di Londra. «Siamo qui per mandare un messaggio al governo consrvatore di David Cameron, per dimostrare che siamo tanti, forti e uniti», dice Brendan Barber, segretario generale del Trades Union Congress, la maggior confederazione sindacale britannica, dal palco affacciato allo Speakers Corner di Hyde Park, l’angolo storicamente riservato alla libertà di espressione e di protesta. «Combatteremo i tagli selvaggi predisposti dal governo nel campo della sanità , della scuola, dei servizi sociali, non lasceremo distruggere i nostri posti di lavoro e le nostre vite», insiste il potente capo del sindacato. Dopo di lui prende il microfono Ed Miliband, leader del partito laburista: «Questo governo vuole tornare indietro nel tempo, con tagli ideologici che ricordano l’era Thatcher, ma noi lotteremo per difendere ciò in cui crediamo, una società giusta e dinamica. Il primo ministro Cameron dice di voler costruire una Grande Società attiva e solidale contrapposta a uno Stato lento e inefficace, ebbene eccola la grande società , è scesa in strada a dire di no al suo progetto». E in effetti nelle strade di Londra sembra di veder sfilare tutti gli strati sociali della Gran Bretagna, ovvero di una tipica società industrializzata d’Occidente: sindacalisti, operai, studenti, giovani, anziani, famiglie con bambini, intellettuali, uomini e donne di ogni età e ceto colpito dai tagli. «Comprendiamo la rabbia della gente, ma il precedente governo laburista e la recessione ci hanno lasciato in eredità il deficit peggiore d’Europa, stiamo cercando solo di risanarlo e far ripartire l’economia», replica sugli schermi della Bbc, a nome di Downing street, il ministro dell’Istruzione Michael Gove. Ma i sindacati e il Labour obiettano che i tagli sono troppo pesanti, proponendo come alternativa una ricetta simile a quella di Obama in America, con tagli più graduali e maggior sostegno alla classe media, affermando che la strada imboccata da Cameron può innescare una nuova recessione. «E comunque sono tagli che fanno pagare il prezzo della crisi ai poveri e alle persone normali – commenta Peter Keats, 54 anni, assistente sociale, sfilando con i dimostranti – mentre invece le banche evadono legalmente le tasse e distribuiscono bonus da milioni”. Proprio contro le banche e il lusso si scaglia la protesta della minoranza violenta del corteo, che assalta i grandi magazzini Fortnum & Mason, la boutique Top Shop, le sedi della Lloyds Bank e della Royal Bank of Scotland, scontrandosi a lungo con la polizia.
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