Lo show di Lombardo: tendopoli anche in Valpadana

by Editore | 28 Marzo 2011 6:16

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Lampedusa — Nel giorno in cui approdano non su Lampedusa, ma su Linosa, mille profughi di tre barconi provenienti dal «fronte» libico, staffetta di una teoria che si annuncia senza fine, è Raffaele Lombardo a dare la scossa, a scuotere Roma per svuotare l’isola attraversata da tensioni, rischi, violenza. Come è accaduto sabato notte con l’assalto alla tenda dell’Azienda sanitaria piantata sul molo, sotto la «collina del disonore» trasformata in un accampamento. Con i medici sbattuti fuori, pronti a mettere in salvo attrezzature, bisturi, bombole, tappando tutto in una ambulanza. La rabbia di oltre 5 mila tunisini è esplosa anche ieri pomeriggio. In 300 a protestare per la distribuzione del cibo. Rabbia pari a quella di chi vive qui minacciando iniziative clamorose. Come raccontano a Lombardo, appena arrivato. Di qui la scossa che, dopo un appello a Napolitano, sfocia in una telefonata ricevuta da Berlusconi in diretta, davanti a centinaia di pescatori, albergatori commercianti indignati dall’inerzia del governo. E per la prima volta il Cavaliere che generalmente non offre pause agli interlocutori si ritrova un vulcano che non lascia spazi via filo. Lombardo chiede navi appoggio come centri accoglienza galleggianti, parla del «rischio epidemia» , dell’onta di quella collina ridotta a letamaio, sospetta che l’inerzia e i ritardi nelle scelte celi il dolo (della Lega) e invoca l’allestimento di diverse tendopoli: «Dappertutto fuorché in questo scoglio che non ne può più. Facciamole anche in Sicilia. Ma facciamole pure il Valpadana» . Poi, senza break, continua a rivendicare provvedimenti economici e ordini precisi al commissario straordinario, tutti temi da discutere, promette Berlusconi «con un consiglio dei ministri straordinario, presente lo stesso governatore» . Le risposte del premier si potevano indovinare dall’espressione parzialmente soddisfatta di Lombardo, cauto: «Mi conferma quindi che un armatore ha offerto le navi. Bene, aspettiamo fatti concreti» . Parole echeggiate mentre un traghetto della Grilmaldi imbarca 800 tunisini, 300 partono in aereo e 500 attendono il ritorno della San Marco. Operazioni lente non bilanciate dall’esodo. Più di 18 mila arrivi da gennaio, poche le donne, circa 600 i minori. Adesso dalla Libia ecco famiglie al completo, anche con una miriade di bambini. Storie drammatiche. A cominciare da quella di un bambino che nasce in una carretta alla deriva, sbattuta fra le onde del Mediterraneo. Salvato con la mamma. Tirati su dal verricello di un elicottero dove un medico azzarda e trancia il cordone ombelicale. Ma è anche la storia di un altro bimbo che resterà  solo una speranza infranta, ucciso a quattro mesi nel grembo della mamma che piange volando pure lei in elicottero, prima verso Lampedusa, poi a Palermo. E ancora una terza donna incinta all’ottavo mese. Salvata pure lei. Spezzoni di un’odissea vissuta da 330 eritrei. Frammenti di disperazione che, nell’inferno di un bambino mai nato e della creatura sopravvissuta alla forza del mare, miscelano dolore e gioia alla vergogna. Perché sono sequenze dalle quali ha provato a sottrarsi il potente schieramento di portaerei, mezzi d’attacco, navi appoggio di un apparato militare che perlustra e filtra il Mediterraneo senza aiutare un barcone alla deriva col suo carico devastato. Finché un bimbo nasce fra le onde.

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