Libia e Bahrein: interventi umanitari selettivi

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Sei Mirage di produzione francese, sei F16 di produzione statunitense. I sette emirati del Golfo Persico, dal 25 marzo 2011, li hanno messi a disposizione della missione in Libia che, da lunedì, passerà  sotto il comando Nato e con la benedizione del Consiglio di Sicurezza Onu. Mancava un tassello, però. Anzi due. Da un lato l’Unione Africana che si è chiamata fuori dal primo minuto ma che, pare su iniziativa italiana, potrebbe rientrare nella dimensione diplomatica della crisi libica, magari offrendo al Colonnello Gheddafi un posto dove andare in esilio. L’altro tassello mancante è il mondo arabo. In fiamme e quindi scosso, in difficoltà .

La Lega Araba, che più passano gli anni più non si capisce bene chi rappresenti, per bocca del suo segretario generale Amr Moussa approva la no fly zone, poi si rimangia tutto e parla di eccesso di zelo francese nel bombardamento. Di nuovo, in poche ore, ricambia idea e sostiene la protezione dei civili libici. Una voce univoca, però, non c’è. Yemen, Siria, Giordania e tanti altri paesi hanno il loro bel da fare, ma soprattutto il Golfo Persico è in bilico. Ecco perché una presenza araba nella coalizione ha un peso politico enorme, ma ha anche un prezzo.

Prezzo che hanno fissato Dubai e Riad. Quando tutto sembrava pronto, il giorno prima, per l’annuncio dell’arrivo della flottiglia emiratina, che i governi occidentali aspettavano come una rivelazione per tirare fuori la coalizione dal rischio della ‘crociata’, ecco l’inatteso passo indietro. Khalid Al Bu Ainain, ex capo di Stato maggiore dell’aviazione degli Emirati, ha chiarito il mistero: “Il mancato invio ha ragioni tutte politiche, non militari”.

Quali? Presto detto. ”Europa e Usa hanno criticato il modo in cui le forze di sicurezza del Bahrein, potenziate da mille militari sauditi e 500 poliziotti emiratini, hanno soppresso la protesta Manama”, ha spiegato Ainain. Allora oggi la conseguenza appare chiara: Usa e alleati hanno fatto presente che non si spenderanno più, né con le dichiarazioni né in modo pratico, per salvare la pelle agli sciiti del Bahrein.

La situazione è nota. In Bahrein gli sciiti sono il settanta percento della popolazione, da sempre emarginata dal potere e dal benessere economico in Bahrein, dove tutto è nelle mani dell’emiro al-Khalifa e del suo clan sunnita. Nel corso della protesta, che ha comunque saputo coinvolgere anche settori progressisti dei sunniti, l’emiro ha reagito con una violenza cieca. Alla repressione, quando sembrava che il trono vacillasse, si sono uniti sauditi ed emiratini. Un massacro, senza che Francia, Usa e Gran Bretagna sentissero l’anelito umanitario che li ha condotti a bombardare la Libia.

Non solo, li ha spinti a impegnarsi a non dire una parola e a non muovere un dito, cosa anche più grave dell’indifferenza. Il tutto in cambio dell’appoggio di dodici caccia, ma soprattutto dell’icona politica di mostrare al mondo che gli arabi sono con noi. Ma sono arabi anche quelli massacrati in piazza, solo che sono sciiti. Quindi vicini all’Iran, quindi nemici delle corrotte petro monarchie del Golfo, alleate chiave dell’Occidente. Tutti gli arabi sono uguali, pare, ma qualcuno è più uguale degli altri.


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