L’Europa che non c’è

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L’amministrazione Obama inizialmente si è mostrata riluttante quasi quanto la Germania a farsi coinvolgere in una qualche forma di intervento militare, ma ha cambiato posizione in reazione alla brutale campagna lanciata da Gheddafi per recuperare il potere, a seguito dell’atteggiamento decisamente interventista della Lega araba e delle numerose pressioni interne. Tra le voci americane levatesi a favore dell’intervento c’è quella di Robert Kagan, il neo-con autore dell’aforisma: “Gli americani vengono da Marte, gli europei da Venere”. Quanto alla Francia non dobbiamo farci illusioni sui motivi personali di Nicolas Sarkozy. Senza dubbio si augura che il fare bella figura in campo internazionale gli faccia guadagnare punti accrescendo le sue possibilità  di essere rieletto l’anno prossimo. Il deciso intervento a tutela dei diritti umani degli arabi dovrebbe coprire una esecrabile tradizione di mezzucci per ingraziarsi i leader arabi che calpestavano quei diritti, tra cui Hosni Mubarak, il tunisino Zine El Abidine ben-Ali, che fino a poco tempo fa presiedeva assieme a Sarkozy l’Unione per il Mediterraneo e, ebbene sì, Muammar Gheddafi. Il premier britannico David Cameron, benché in posizione del tutto diversa, è giunto a una conclusione simile. Le motivazioni delle persone sono sempre miste. Quel che conta sono i pro e i contro del caso e la realtà  sul campo. Non sono state le illusioni di grandezza di Sarkozy a persuadere la lega araba ad appoggiare l’intervento e tanto meno a convincere il Consiglio di sicurezza dell’Onu ad autorizzarlo. E’ stato Gheddafi che ammazza la sua gente e minaccia di eliminare i ‘ratti’ che gli si oppongono, di casa in casa, senza mostrare “né pietà  né clemenza” a cambiare le opinioni. E’ stato il dottor Saif al-Islam Gheddafi (Phd, LSE) che farnetica sopra un carro armato a cambiare opinioni. E’ Bengasi che sembra sul punto di cadere in mano alle forze di Gheddafi a cambiare le opinioni. La decisione di intervenire, presa con serietà , senza farsi illusioni si fonda su un unico postulato: ben presto sarebbe stato peggio, letale per molti, se non fossimo intervenuti. E’ questa la logica che ha convinto la maggioranza del Consiglio di sicurezza dell’Onu a votare per la risoluzione 1973 (e, detto per inciso, ha portato il presidente del Rwanda ad appoggiarla). Una logica che non ha convinto però la Russia, la Cina, il Brasile e l’India; né la Germania. L’immagine che ben rappresenta questa crisi è per me quella dell’ambasciatore tedesco alle Nazioni Unite, Peter Wittig, seduto con le mani conserte e un’espressione addolorata in volto mentre al suo fianco l’ambasciatore del Gabon, Emmanuel Issoze-Ngondet, alza il braccio per votare la risoluzione mirata a salvare civili innocenti da un dittatore mezzo pazzo con i baffi. Mi chiedo come si sentisse Witting, persona degnissima, in quel momento. Semplice imbarazzo? O qualcosa di più simile alla vergogna? Altro che Francia e Germania coppia indissolubile al centro dell’Europa, in grado, assieme, di darle maggior voce nel mondo. Invece i ministri degli esteri francese e tedesco, Alain Juppé e Guido Westerwelle, sono in aperto disaccordo. “Io esprimo il mio pensiero, lui il suo”, è stato il secco commento di Juppé dopo alcuni aspri scambi tra i due a Bruxelles lunedì scorso. E Le Monde riporta questo devastante giudizio, sempre di Juppé: “La politica di difesa e sicurezza comune europea? E’ morta”. Il problema qui non è la partecipazione diretta della Germania. Chiunque avrebbe capito se non fosse stata possibile. Ma come può la Germania non appoggiare una risoluzione Onu sostenuta dai suoi principali partner europei, dagli Usa e dalla Lega Araba? Peggio ancora, Westerwelle recentemente per difendere l’astensione tedesca ha fatto cenno a dubbi espressi circa la portata dell’intervento militare da parte della Lega araba: “Abbiamo calcolato il rischio. Se, a tre giorni dall’intervento, vediamo che la Lega Araba già  lo critica, credo che avessimo dei buoni motivi”. Mentre i piloti britannici e francesi rischiano la vita in azione, il ministro degli esteri tedesco in pratica incoraggia la Lega Araba ad essere ancora più critica. Una parola che mi sorge spontanea è Dolchstoss (pugnalata alle spalle). Questo atteggiamento tedesco ha varie motivazioni. Westerwelle è uno dei ministri degli esteri più deboli che la Germania abbia avuto da tempo. In quanto leader dei Liberal democratici teme gli esiti di alcune importanti elezioni provinciali – al pari di Angela Merkel. Come molti politici europei contemporanei la Merkel e Westerwelle seguono l’opinione pubblica invece di esserne guida. Dopo qualche cauto passo per assumersi più ampie responsabilità  internazionali, incluse quelle militari, negli anni ’90, l’opinione pubblica tedesca sembra nuovamente sprofondata in un atteggiamento all’insegna del “lasciateci in pace”. Che la Germania sia una grande Svizzera! E il dinamismo della straordinaria crescita delle esportazioni tedesche è sempre più estraneo al vecchio occidente, negli scambi commerciali con paesi come il Brasile, la Russia, l’India e la Cina – proprio i paesi Bric con i quali la Germania è schierata all’Onu. Anche se pensate che l’approccio tedesco alla questione specifica della no-fly zone sia corretto e quello francese sbagliato, dovete ammettere che queste divisioni rendono ridicola la pretesa che l’Europa abbia una politica estera. Ricordate che questo avrebbe dovuto essere l’anno in cui l’UE finalmente l’avrebbe realizzata. «L’incontro di oggi», ha detto Catherine Ashton, l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza della Ue dopo la zuffa di lunedì, «dimostra la determinazione della Ue a reagire con rapidità  e decisione e all’unisono agli eventi in Libia». Merita un premio per essere riuscita a dirlo con la faccia seria. A fronte di divisioni così profonde tra i paesi più importanti anche il miglior Alto Rappresentante del mondo aveva ben poco da fare. Non fraintendetemi: se critico l’atteggiamento tedesco non significa che io non abbia dubbi su questa operazione. Ho dei dubbi seri a riguardo, come quasi tutti quelli che conosco. Sono convinto che restare a guardare avrebbe significato terribili conseguenze per i civili attaccati dalle forze di Gheddafi. Se non ci fossimo mossi sarebbe stato peggio. Ma ora dobbiamo dimostrare che le cose andranno meglio perché siamo intervenuti. Siamo presi in trappola tra i limiti ben precisi del mandato Onu – proteggere i civili – e la condizione necessaria per garantire quel fine con certezza: la caduta di Gheddafi. L’unico esito positivo di un’azione militare mirata autorizzata dall’Onu è consentire ai libici di sbarazzarsi di Gheddafi. Quindi il compromesso verso cui questa coalizione di volenterosi sembra orientarsi – esperienza di comando e controllo Nato in un involucro politico più ampio – è probabilmente la via migliore. Poi tutto dipenderà  da chi è sul campo. Ma molti esiti peggiori sono del tutto possibili, non da ultimo una orribile protratta spartizione del paese, con la metà  occidentale ancora sotto il controllo di Gheddafi. Un’Europa divisa aumenta la probabilità  di una Libia divisa. (www. timothygartonash. com – traduzione di Emilia Benghi)


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