«Anche l’Italia ha le sue idee da discutere»

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BRUXELLES— Lui racconta che hanno anche scherzato insieme, che in fondo i francesi sono fatti così, hanno il loro orgoglio, il loro carattere. Ma chi è stato negli ultimi due giorni dalla mattina alla sera con il Cavaliere ha visto una scena diversa: rapporti con Sarkozy ridotti al minimo, poco più dei saluti, delle forme richieste dalle circostanze. I due leader, per molti tratti del Consiglio europeo, prima giovedì notte, poi ieri sino all’ora di pranzo, hanno accuratamente evitato di dover dissimulare le rispettive opinioni: se ci si tiene a distanza non si è costretti a toccare argomenti come la Libia e soprattutto a sorridere controvoglia. «Velleitario» : così ieri pomeriggio, alla Farnesina, dopo una telefonata affettuosa fra il Cavaliere e Frattini (il primo appena rientrato dal Belgio, il secondo dalla Tunisia), veniva definito l’annuncio di una proposta di mediazione sulla Libia fatto da Parigi, proposta in elaborazione d’intesa con Londra: «Anche l’Italia ha le sue idee e le sue proposte, e le farà  valere nelle sedi opportune e nei prossimi appuntamenti, discutendole con i partner» , veniva aggiunto. Più o meno negli stessi istanti, nello staff del presidente del Consiglio, il profondo solco scavato dal conflitto libico nelle relazioni fra Eliseo e Palazzo Chigi veniva condito con questi argomenti: «Sarkozy crede di aver già  vinto la sua guerra e ora ritiene che debba anche vincere la pace, la verità  è che si sta isolando da solo, oltre a rendersi ridicolo con questa sua voglia di piantare bandierine…» . Bastano queste parole ovviamente, da parte di chi lavora a stretto contatto con Berlusconi, per descrivere il gelo che in questo momento corre nelle relazioni transalpine. Aggravate dal dossier Parmalat, ma sostanzialmente legate alla crisi libica. Nello staff del Cavaliere, per dirne una, non c’è mai stata tanta soddisfazione nel riscontrare più di una crepa nel rapporto fra Parigi e Berlino, divisi sulla Libia, sul nucleare (la Francia ha 58 centrali e non vuole nemmeno sentir parlare di ripensamenti), incapaci di offrire quell’immagine di compattezza che sino a qualche tempo fa faceva parlare di direttorio europeo. Ieri Berlusconi ha sentito di dover mettere per iscritto «gli apprezzamenti» suoi e dell’interno governo per il lavoro della Farnesina, per il successo nell’aver ottenuto il comando Nato delle operazioni militari, ottenuto a dispetto delle riserve e degli sforzi contrari di Parigi, e poi per l’utilità  dell’iniziativa in Tunisia, dove il ministro degli Esteri e Roberto Maroni ieri sono stati introdotti nel governo locale da un ambasciatore di eccezione, quel Tarak Ben Ammar che prima ancora di essere finanziere, imprenditore e produttore cinematografico è grandissimo amico del Cavaliere. Un’iniziativa che affianca altre relazioni, sottotraccia, che si confida tornino utili nel giorno in cui in Libia si dovesse passare dalla fase delle armi a quella diplomatica. Di certo, nel governo, e la Farnesina l’ha sottolineato ieri con una nota informale, si ritiene che anche l’Italia avrà  forti capacità  di mediazione quando sarà  necessario. E che quanto stanno facendo i francesi in questi giorni «denota ancora una volta un errore di metodo: non ci si muove in questo modo del mondo arabo» , aggiungono nella delegazione italiana che lascia il vertice europeo, mentre Berlusconi, cercato dai cronisti, rimarca la sua voglia di silenzio, almeno ufficiale, con una frase inedita: il premier «non deve dichiarare ma fare» .


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