Lampedusani furiosi, ma non con i tunisini

by Editore | 30 Marzo 2011 5:50

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È proprio qui, sopra a questa scarpata piena di rifiuti che sovrasta le banchine del porto, che il governo italiano ha perso la faccia. L’area in questione è infatti il luogo di raccolta principale delle migliaia di persone, soprattutto tunisini, approdate in questi giorni nell’isola ora in rivolta. I lampedusani, che da lunedì sera occupano per protesta la sede comunale, dicono che non ce l’hanno con gli immigrati. «Anzi, noi i clandestini, o come si chiamano, li abbiamo sempre aiutati», sostengono. Sono furibondi con il governo che li ha abbandonati – «il governo Berlusconi è come gli ombrelli, quando piove non li trovi» recita uno dei tanti striscioni appesi all’ingresso del municipio – che ha lasciato marcire questa emergenza per troppi giorni, fino a farla esplodere. «I tunisini sono dei disperati, lo sappiamo benissimo, ma noi siamo più disperati di loro – affermano alcune donne in assemblea permanente nel municipio -. Qui a Lampedusa abbiamo già  troppi disagi, per esempio non abbiamo neanche un pronto soccorso, abbiamo una sola eliambulanza per cinquemila abitanti. Ora che la popolazione è di colpo raddoppiata che succede se più di qualcuno si ammala in maniera grave e ha bisogno di essere trasportato a Palermo? È uno scandalo: un solo elicottero per più di diecimila persone». 
«Non è per cattiveria – continuano le donne in assemblea – ma i pochi servizi che abbiamo sono insufficienti per tutti». «Noi viviamo quasi esclusivamente di turismo – aggiunge un’altra signora che fa l’albergatrice – se continua questa emergenza rischiamo di perdere anche questa fonte di sopravvivenza». «Basta, non ne possiamo più – dice un’altra donna, avvelenata con i politici che anche ieri sono venuti in processione a Lampedusa -, se questa situazione non si sblocca entro domani, noi non garantiamo più nulla, qui può succedere di tutto, potrebbero scapparci morti e feriti».  L’ultimatum dei lampedusani al governo, che minacciano lo sciopero generale, scade oggi, giorno in cui il ministro dell’interno e il prefetto di Palermo (nominato commissario per questa emergenza) hanno promesso l’avvio del trasferimento di tutti gli immigrati dall’isola verso il resto d’Italia. L’evacuazione dovrebbe avvenire con sei navi. Arriveranno davvero? Sembra di sì, ma a Lampedusa nessuno si fida più di nessuno. Vogliono vedere i fatti. 
Loro, invece, gli oltre seimila stranieri prigionieri nell’isola, non sanno nulla di cosa l’aspetti. Molti sembrano anime in pena, vagano senza meta per le strade del paese, chiedendo a chiunque uno straccio di informazione che li riguarda. L’unica cosa che vorrebbero è poter scappare prima possibile. Ognuno ha la propria meta stampata bene nei pensieri. E per molti, almeno tra quelli con cui riusciamo a parlare in questa vigilia d’attesa, il sogno è quello di farsi strada nel «primo mondo». 
Il «primo mondo», manco a dirlo, è ovviamente quell’Europa che in realtà  non li vuole neanche vedere. Medhdi, 24 anni di Tunisi, spiega così il suo desiderio: «Non mi interessa stare in Italia, voglio andare in Svezia, dove vive la mia fidanzata che è incinta. Ci siamo conosciuti attraverso internet e tre mesi fa lei è venuta a trovarmi in Tunisia. Ci vogliamo bene e ci piacerebbe poter vivere insieme. Lasciando la Tunisia ho rischiato di morire in mare, come tanti nostri connazionali, ma per fortuna ce l’ho fatta. Ora, dopo tutta questa fatica, spero che non mi riportino indietro».
Come vanno le cose in Tunisia 
I tunisini sono quasi tutti giovanissimi. Sono fuggiti per tante ragioni. Molti raccontano di aver partecipato alla rivolta che ha rovesciato il dittatore Ben Ali. Tra questi anche Samir, Ridha, Walid e Amin che incontriamo in un bar nel centro di Lampedusa. «Le cose non stanno andando bene in Tunisia. Certo che abbiamo festeggiato la cacciata del dittatore, ma i problemi che c’erano prima ci sono anche adesso. Il lavoro non è facile trovarlo e anche se lo trovi ti danno troppo poco per poter vivere dignitosamente. Io lavoravo in un call center, l’Orange, che è un’azienda francese di telefonia che ha sede anche a Tunisi, e guadagnavo 350 dinari al mese, meno di duecento euro. Cosa ci fai con 350 dinari? A malapena ci paghi l’affitto per la casa. In Europa invece potremmo lavorare e guadagnare molto di più». «Abbiamo cacciato Ben Ali ma quelli che hanno il potere adesso non sono migliori – si inserisce Rachid, 42 anni, forse il più anziano dei tunisini approdati a Lampedusa – lo sapete voi italiani che le forze dell’ordine continuano a sparare a quelli che hanno preso parte alla rivolta? Tra sei o nove mesi, se sarà  eletto un nuovo presidente, torneremo in Tunisia. Almeno io penso di tornarci. Adesso però vorrei poter raggiungere la Francia, dove ci sono i miei parenti, e trovare un lavoro». 
Quelli che non ce la fanno
La Francia, la Svezia, la Svizzera, l’Austria, l’Olanda, la stessa Italia: sono le mete sognate dai migranti di Lampedusa. Per «tentare la fortuna» dicono di aver pagato un passaggio agli scafisti anche più di duemila dinari (circa mille euro), a seconda della provenienza. Il porto di partenza è quello di Sfax, dove gli emigranti aspettano anche più di due settimane prima di essere imbarcati. In molti, in troppi, come è noto, non ce la fanno ad arrivare, annegano a decine nel canale di Sicilia, e spesso nessuno se ne accorge, o li cerca. È la stessa tragica sorte che l’altra notte ha sfiorato anche i 190, in gran parte eritrei e somali (tra cui 60 donne e alcuni neonati) che viaggiavano su una carretta che imbarcava acqua da tutte le parti e che solo per miracolo sono stati avvistati dalle motovedette della guardia costiera e quindi soccorsi e trasferiti nella notte nella ex base della Marina militare, la Loran, trasformata anch’essa in centro di accoglienza. Ce ne sono varie di strutture adibite a questo scopo in questi giorni d’emergenza. Ma sono presto diventate invivibili, da chiudere al più presto per evitare malattie, e in ogni caso assolutamente insufficienti per ospitare questa marea umana arrivata dall’Africa. Alla maggior parte dei seimila e duecento immigrati attualmente censiti non rimane dunque altro che bivaccare per le strade dell’isola o abbandonarsi, stremati, sporchi e spesso anche privi di scarpe e vestiti, sotto le tende di plastica e cartoni – senza uno straccio di servizio igienico – allestite alla meglio sopra e sotto la «collina della vergogna» che costeggia il porto. 
Nonostante questa vita di inferno, i tunisini non fanno altro che scusarsi con i lampedusani per il disagio che stanno creando. E ieri sera – mentre da Roma Silvio Berlusconi annunciava per oggi il suo sbarco nell’isola – a decine hanno sfilato in corteo nella via principale del paese e ripulito le strade con scope e spazzoloni.

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