L’Italia contro la Francia “Il comando passi alla Nato”

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L’Unione europea si lacera, la Nato non riesce a nascondere le crepe al suo interno: quarantotto ore dopo l’avvio dei bombardamenti in Libia, gli alleati mostrano le profonde divisioni che li attraversano. Con uno scontro tutto interno tra Italia e Francia. Il ministro degli Esteri Frattini chiede che il comando delle operazioni passi sotto la Nato. Parigi risponde picche. La resistenza dei francesi – ormai isolati – rischia di mettere in pericolo la fragile impalcatura della coalizione anti-Gheddafi che oggi si regge su tre comandi separati. L’Italia minaccia di riprendere il controllo delle sue basi, la Norvegia sospende la sua partecipazione ai raid, la Turchia pone le sue condizioni, la Germania si autocongratula per non aver votato la risoluzione dell’Onu. Ad oggi l’Europa e la coalizione assomigliano a un vascello senza bussola. A provocare lo scompiglio hanno contribuito i bombardamenti di sabato sera sulla Libia. Secondo molti paesi, l’operazione è andata al di là  dei limiti fissati dalla risoluzione 1973 dell’Onu. È quel che pensa il segretario della Lega Araba, Amr Moussa, che ieri ha cercato però di ritrattare i suoi dubbi. Sulla stessa linea altri paesi, dalla Turchia alla Bulgaria. Altri sono più prudenti, ma i dubbi non mancano. L’Italia con Frattini chiede che sia l’Alleanza atlantica a prendere il comando delle operazioni perché «ognuno deve sapere ciò che fanno gli altri». Il ministro non nasconde le proprie perplessità  sui bombardamenti: «Non dovrebbe essere una guerra contro la Libia». Roma teme che senza un coordinamento le responsabilità  di eventuali morti di civili o missioni al di là  della risoluzione Onu ricadano su tutti i paesi della coalizione. Se non fosse raggiunto un accordo per il passaggio del comando delle operazioni in Libia alla Nato – insiste Frattini – l’Italia considererebbe l’idea di istituire un proprio comando nazionale separato per gestire le attività  di comando e controllo di tutte quelle operazioni militari, in applicazione della Risoluzione 1973, che prevedono l’uso delle sette basi che il nostro paese ha messo a disposizione per la missione in questione. Anche Berlusconi ha insistito sul fatto che «l’intervento deve avere obiettivi chiari ed essere guidato dalla Nato». È quel che pensano molti governi, anche se non tutti lo dicono pubblicamente. E la loro posizione è rafforzata dal bombardamento di domenica notte sul complesso residenziale di Gheddafi. «Abbiamo salvato le vite dei civili a Bengasi», risponde il ministro degli Esteri francese, Alain Juppé. Un rappresentante di un paese europeo è molto più scettico, anche se preferisce l’anonimato: «Di cosa si tratta? Di proteggere i civili, di instaurare lo status quo, di liquidare Gheddafi? La coalizione non è chiara sugli obiettivi». Il no della Francia al comando Nato ufficialmente si basa su un solo motivo: la bandiera della Nato potrebbe far mutare gli umori dell’opinione pubblica araba, sinora favorevole all’intervento anti-Gheddafi. Considerazione bocciata dal nostro governo. Ecco perché a Roma si ritiene che Parigi miri semplicemente a mantenere la leadership sulla missione in modo da accreditarsi presso l’eventuale nuovo governo di Tripoli con vantaggi economici. Anche la Gran Bretagna, con David Cameron che pure ha spalleggiato Sarkozy fin dall’inizio, pensa che la Nato debba prendere le redini. Ma le contrapposizioni hanno portato allo stallo. I ministri degli Esteri Ue non hanno fatto progressi, gli ambasciatori della Nato hanno sospeso la loro riunione (dopo uno scontro con gli alleati quello francese ha lasciato la sala). C’è unità  per proteggere le operazioni umanitarie e far rispettare l’embargo sulle armi, non sulla missione militare. Alle divisioni europee ha però risposto Obama: «La Nato svolgerà  un ruolo. È questione di giorni, non di settimane».


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