L’esempio dei 7000 comuni sulla via del sole e del vento
Ma anche perché s’inscrive in un filone che potrebbe essere definito “federalismo energetico”, imperniato su una produzione diffusa nel territorio contrapposta a quella tradizionale concentrata nei grandi impianti. Di fronte alla catastrofe giapponese, il mondo intero è costretto oggi a interrogarsi su un nuovo modello di sviluppo sostenibile, in linea con la green economy, compatibile innanzitutto con il rispetto della salute e la tutela dell’ambiente. È la base di quella “democrazia energetica” che ormai s’impone su scala planetaria. Dall’era del petrolio a quella delle rinnovabili, la transizione sarà inevitabilmente lunga e graduale, ma si tratta evidentemente di una strada obbligata per tutto il genere umano. Il monito che arriva da Fukushima, come già un quarto di secolo fa da Chernobyl, è tanto chiaro quanto severo: non c’è progresso al di fuori della sicurezza. L’energia nucleare – ha avvertito ancora ieri il Premio Nobel per la Fisica, Carlo Rubbia – non risolve da sola il problema e comunque non è ineluttabile. Tocca ai cittadini scegliere e decidere. Quello offerto dagli oltre settemila Comuni italiani che ospitano almeno un impianto di energia rinnovabile, censiti dal Rapporto 2011 di Legambiente, è dunque un esempio virtuoso che va seguito e valorizzato. La crescita del fenomeno, negli ultimi cinque anni, è stata senz’altro confortante, al di là di qualsiasi previsione o aspettativa. Testimonia una consapevolezza e un senso di responsabilità molto più avanzati a livello locale che a livello centrale. È l’Italia dei “mille campanili” che si richiama alla propria storia e alle proprie radici per rivendicare l’identità nazionale, applicandola alla questione energetica.
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