La sfida di Gladwell “La Rete non basta”
Clay Shirky, autore di Surplus cognitivo (Codice), rievoca le Filippine del 2000, in cui il corrotto Estrada cade anche grazie alla rapidissima mobilitazione via sms. Ma anche la Spagna post-attentati, Cina e Moldova, Iran e Birmania. Ricorda che dal gennaio 2010 il dipartimento di Stato promuove la «libertà internettiana all’estero» come elemento essenziale della propria politica estera. Buona cosa, commenta, ma a un approccio “strumentale”, cioè fornire ai paesi software e altri strumenti per bypassare la censura, bisogna preferire uno “ambientale”, ovvero costruire le condizioni perché tutti abbiano accesso alla rete. Cita il fondamentale saggio di Habermas del ’62 sulla “sfera pubblica” e uno studio delle elezioni statunitensi dell’84 in cui Paul Lazarsfeld spiegava che le decisioni politiche dei cittadini nascono in due fasi: prima nel contatto con le informazioni date dai media e poi nella loro rielaborazione da parte di amici, familiari, colleghi. In questa socializzazione si formano le scelte. Un processo che, sempre più, avviene via rete. A ribattergli, sulla stessa rivista, è Malcolm Gladwell, bestsellerista mondiale che sul New Yorker aveva già minimizzato la rilevanza politica della rete. Scrive: «Il fatto che l’innovazione nelle tecnologie della telecomunicazione esista non significa che faccia la differenza». E ancora aspetta che la profezia sul sopravvento del commercio elettronico su quello tradizionale si realizzi. Per convincerlo dovrebbero dimostrargli che «senza i social media, queste rivolte non sarebbero avvenute». È una controprova sperimentale di cui nessuno dispone. Però nelle strade del Cairo, con i cellulari ammutoliti dal regime, i ragazzi si coordinavano grazie all’Internet gentilmente offerta dai cittadini che, da casa, avevano tolto le password alle proprie reti wifi. Avrebbero potuto farla anche con i piccioni viaggiatori o le staffette partigiane, la rivoluzione, ma a occhio sarebbe stata meno agevole. Quando a Mentana i garibaldini vengono decimati dai francesi, quelli in Parlamento esultano: «Les Chassepots ont fait merveille!». I loro fucili sparavano molto meglio dei nostri. Ecco, la tecnologia non è tutto, ma aiutava già nel 1867. Ora anche di più.
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