La sfida degli attivisti arabi “Fatta la rivoluzione ora vogliamo il futuro”

by Editore | 28 Marzo 2011 5:53

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DOHA – A guardarli finalmente in viso non hanno l’aria dei guerrieri: eppure l’ondata delle proteste che oggi fa tremare Bashar al Assad fra le mura di Damasco e costringe Ben Ali a vivere in un esilio blindato in Arabia Saudita l’hanno alimentata loro. Malek, Amina, Asma, Sultan e molti altri sono i cyberattivisti che hanno suonato la sveglia per le rivolte che oggi scuotono il mondo arabo. A riunirli a Doha nei giorni scorsi è stata la tv Al Jazeera. “Il futuro del mondo arabo è arrivato?” era il titolo dell’incontro: una domanda a cui i blogger hanno risposto senza esitazione “sì”. «Il futuro siamo noi: nulla di quello che la generazione precedente ha fatto ci ha aperto la strada – dice Malek Khadraoui di Nawaat, il portale che ha raccontato la rivoluzione tunisina – abbiamo scelto la nostra strada e il nostro mezzo, che è stato Internet: e grazie ad esso siamo riusciti ad ottenere il cambiamento che volevamo. Un cambio reale: non venite a parlarci di rivoluzione virtuale». Le ultime settimane per Malek e quelli come lui hanno rappresentato un bivio: quella che era iniziata come una rivolta pacifica si è trasformata in una guerra (Libia) o in scontri sanguinosi (Bahrein e Yemen). E anche in quei casi (Egitto) dove la transizione procede, l’onda sta lentamente tornando indietro: la vittoria del sì alla referendum sulla Costituzione pochi giorni fa era tutto meno che il risultato sperato dai giovani. Poi c’è stata la morte di uno di loro, Mohammed Nabous, detto “Mo”, nelle prime ore della battaglia di Bengasi. Avvenimenti che hanno portato gli analisti a chiedersi se i giovani arabi non stessero perdendo la battaglia. «Non credo – risponde Malek – quello che abbiamo visto è stata l’unione del pensiero politico, quello degli attivisti, e di quello non politico, di gente come Wael Ghonim di Google: un fenomeno rivoluzionario e irreversibile». Ma è un fatto che fra i corridoi del Forum una certa inquietudine serpeggiasse: «Dovete smetterla di parlare di noi e lasciare parlare noi – ha detto ad un certo punto Nasser Weddady (Weddady e basta per chi lo segue in Rete) ad un gruppo di politici e accademici sul palco – per anni ci avete inondato di discorsi e non avete cambiato nulla. Ora tocca a noi». Applausi in sala, silenzio fra i relatori. Fra quelli che sorridevano, l’egiziana Asma Mahfouz, autrice di un video postato su YouTube che ha spinto in piazza Tahrir migliaia di persone: «La Rete per noi è stato un grande mezzo, perché lì nessuno ha potuto intimidirci. Ma sbaglia chi pensa che esistiamo solo lì: c’è moltissimo lavoro reale dietro a quello che abbiamo fatto. E vigileremo perché non vada perduto». Effettivamente, la pressione a cui questi ragazzi stanno sottoponendo governi e opinioni pubbliche è tale che oggi anche i più navigati fra i politici devono rispondere: «Sono cittadini veri quelli che stanno facendo la Storia, siete voi: non torneremo indietro», ha promesso a Doha Rachid Ghanouchi, per anni leader dell’opposizione tunisina, oggi figura chiave per il futuro del Paese. Rassicurazioni importanti, che però non bastano: «Abbiamo nuove sfide – sostiene Ramsey George, giordano, animatore di www.7iber. com – la sicurezza è una: Internet aiuta a comunicare, ma può anche esporre alla repressione». Malek annuisce: senza la collaborazione, cementata in anni di incontri, fra Nawaat e gli egiziani del movimento 6 aprile, lui e i suoi non sarebbero riusciti a tenere aperte le comunicazioni quando Ben Alì ha cercato di “spegnere” Internet. Dopo anni di pendolarismo con Parigi, oggi Malek è tornato in Tunisia: nei prossimi mesi, dice «ci sarà  molto da fare: non possiamo farci cogliere impreparati». Una sfida enorme, a cui non è certo che questi ragazzi siano pronti: «Non posso dire se vinceranno – dice John Esposito, professore alla Georgetown University di Washington – ma hanno posto paletti da cui non si tornerà  indietro: il numero di donne sono scese in piazza in Egitto, la collaborazione sunniti-sciiti in Bahrein. Non sono cose create da Internet, ma Internet è stato il mezzo per calarle nella realtà : e non c’è modo di cancellarle. I politici dovranno tenerne conto». Asma, quando le si riferiscono queste parole, sorride: «Non abbiamo fatto quello che abbiamo fatto per tornare indietro – dice – io comincerò a studiare scienze politiche. Non era quello che pensavo avrei fatto, ma ora ho delle responsabilità . Molti dei miei amici fanno scelte simili. Un consiglio? Non sottovalutateci. Guardate come è finito chi lo ha fatto».

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