La lirica aiuta l’economia Dove ci sono i teatri il Pil è più forte del 2%

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ROMA – I teatri lirici non si limitano ad arricchire la vita culturale di una città , ma hanno anche ricadute positive sul Pil che proseguono nel tempo, anche a distanza di secoli. I suntuosi teatri barocchi costruiti in Germania tra il 1600 e i primissimi anni del 1800, dunque in un periodo precedente alla Rivoluzione Industriale, hanno fatto la fortuna economica delle zone nelle quali si trovano, che ancora oggi hanno un Pil pro capite fino al 2,1% più alto rispetto alle zone analoghe prive di teatri lirici. Sono le conclusioni di tre economisti tedeschi, Oliver Falck (Ifo), Michael Fritsch (Università  di Jena) e Stephan Heblich (Max Planck Institute of Economics), autori dello studio, pubblicato dall’Ifo (Institute for Economic Research) di Monaco, con il suggestivo titolo “The Phantom of the Opera: Cultural Amenities, Human Capital, and Regional Economic Growth” (Il Fantasma dell’Opera: intrattenimento culturale, capitale umano, e crescita economica regionale). Esaminando le zone limitrofe a 29 teatri lirici tedeschi, alcuni dei quali costruiti in grandi città  come Dresda e Monaco, ed altri in centri più piccoli, i tre economisti hanno notato una maggiore concentrazione di artisti, accertata attraverso i dati delle statistiche sociali nell’arco di sei anni, tra il 1998 e il 2004. La presenza di artisti si traduce in una maggiore quantità  di attività  culturali, e in generale in una migliore vivibilità  della zona. Di conseguenza nella zona si riscontra (dato verificato sempre attraverso le statistiche sulle assicurazioni sociali) una maggiore presenza di persone laureate o con titoli di studio superiori alla laurea. I due fenomeni sono strettamente legati, spiega Heblich, che è un grande appassionato d’opera (la sua preferita è La Traviata di Verdi): «Una ricerca condotta su circa mezzo milione di individui in Germania dimostra che, a parità  di condizioni lavorative, le persone altamente qualificate preferiscono vivere in una zona con una maggiore e migliore offerta culturale». Un valore aggiunto della cultura, che comunque dà  già  di per sé un significativo contributo al Pil nazionale: secondo l’ultima edizione del rapporto dell’Onu sulla “Creative Economy”, le attività  creative danno un contributo del 2,30% al Pil in Italia, e del 2,50% in Germania. Le persone che lo studio tedesco definisce “high-human capital individuals” sono lo 0,3% in più nelle 29 aree considerate, rispetto alle aree con caratteristiche analoghe, prive però di teatri dell’opera. La maggiore presenza di persone colte e con titoli di studio universitari o post universitari ha un impatto positivo sull’economia della zona, e si traduce in una maggiore crescita del Pil pro capite che va dall’1 al 2,1% annuo. Conclusione discutibile? L’aumento del Pil pro capite è un dato di fatto, sottolineano i tre economisti, che escludono che tale differenza sia dovuta ad altri fattori. Ecco perché, affermano, i governi dovrebbero pensarci due volte prima di tagliare le spese per la cultura. “Ci hanno scritto moltissime orchestre e molti teatri dopo la pubblicazione del nostro studio – racconta Heblich – erano davvero contenti che avessimo finalmente trovato una giustificazione economica agli investimenti in cultura. Può convenire anche ai privati: un’area con una buona offerta culturale attira il capitale umano migliore”.


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