La cattiva legge che vuole punire le toghe

by Editore | 28 Marzo 2011 6:14

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Obiezione, e argomento numero tre: allora godete di un privilegio castale che vi rende diversi da tutti gli altri cittadini, medici, architetti, ingegneri, i quali, si sa, pagano di tasca propria. Falso. Ci sono almeno due categorie di cittadini che non pagano “di tasca propria”. Il personale direttivo, docente, educativo e non docente delle scuole materne, elementari, secondarie e artistiche risponde dei danni provocati dagli alunni soltanto in caso di dolo o colpa grave nella vigilanza degli stessi. La causa si propone contro lo Stato che, se ha torto, paga. E poi, sempre che esistano dolo o colpa grave, si può rivalere sul singolo, dirigente, insegnante o bidello che sia. Motivo: evitare che la scuola, della quale si riconosce la preziosa, essenziale funzione sociale, diventi una palestra di ritorsioni. Quanto alla seconda categoria di cittadini che “non pagano di tasca propria”, ne fanno parte gli amministratori dei partiti politici, i quali, in virtù di un articolo della legge sul finanziamento, “rispondono delle obbligazioni assunte in nome e per conto del partito solamente nei casi di dolo e colpa grave”. A pagare per il partito insolvente, in altri termini, è lo Stato. Che adempie alle obbligazioni dei partiti attraverso un fondo di garanzia costituito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, per la precisione presso il Dipartimento del Tesoro. Motivo: il riconoscimento del ruolo centrale dei partiti nella vita politica. Scuola e partiti sono dunque essenziali al funzionamento della società , e godono di un regime particolare. I giudici no. Quarto argomento: dolo e colpa grave non bastano. Deve essere sanzionato l’errore giudiziario in sé. E infatti l’emendamento Pini introduce la categoria della “violazione manifesta del diritto” come fonte della pretesa di risarcimento. Osservazione di buon senso: il concetto di “manifesta violazione del diritto” è un motivo di ricorso in Cassazione. L’ultimo grado di giudizio esiste proprio per questo, per porre rimedio, all’interno del sistema, ai possibili deficit interpretativi delle norme. Per dirla in termini d’altri tempi, la famosa funzione “nomofilattica” della Cassazione. Qui l’emendamento Pini smaschera il suo autentico sostrato culturale. Lo fa nella parte in cui prevede l’abrogazione di un’altra norma, quella che esenta il giudice da responsabilità  per “l’attività  di interpretazione di norme del diritto e valutazione del fatto e delle prove”. Il diritto secondo l’on. Pini è mera applicazione della legge. Tesi antica e quanto mai controversa, cara, per intenderci, a Robespierre: in era cibernetica la si potrebbe declinare affidando il giudizio alle macchine e mandando l’uomo a casa. Ci sarà  pure un motivo se ancora non ci siamo arrivati. Quinto argomento: l’ampliamento della responsabilità  ci viene imposto dall’Europa. Falso, e decisamente tendenzioso. Gli organismi consultivi del Consiglio d’Europa, a partire dalla Carta di Strasburgo del 1998, raccomandano a tutti gli Stati membri di evitare la citazione diretta in giudizio del magistrato, e sconsigliano l’adozione di formule vaghe e indeterminate come “negligenza grossolana” e via dicendo. La sentenza della Corte di Giustizia Europea che si invoca oggi tratta della responsabilità  per violazione del diritto comunitario non del singolo, ma dello Stato. Circostanza che fu autorevolmente ribadita dal governo attualmente in carica quando, il 20 novembre 2008, rispose a un’interpellanza parlamentare degli onorevoli Mecacci, Bernardini e altri, testualmente affermando che “la normativa posta dalla legge 117/88 (sulla responsabilità  dei magistrati) come rilevato anche dalla dottrina, non è in contrasto con la decisione della Corte di giustizia richiamata nell’interrogazione”. Tutti possono cambiare idea, ovviamente. Nel 2000 cambiarono il codice penale perché i giudici davano pene troppo basse agli incensurati, e bisognava dare un segnale repressivo. Oggi agli incensurati offrono il processo breve. Tutti possono cambiare idea. Ma è bene saperlo. Sesto, e ultimo argomento: il popolo vuole che il giudice paghi di tasca propria. Vero. Contro questo argomento c’è poco da opporre. Trent’anni di bombardamento mediatico hanno scavato a fondo nelle coscienze degli italiani. Da che mondo è mondo ogni processo è una scelta fra due parti. Alla fine c’è sempre chi vince e chi perde. Da che mondo è mondo lo sconfitto se la prende con il giudice che gli ha dato torto. Da domani avrà  al suo fianco, in questa nobile battaglia, la legge.

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