In armi anche il Qatar e gli Emirati un fronte comune contro il raìs

by Editore | 25 Marzo 2011 8:15

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GERUSALEMME – Non doveva avere molti amici nel mondo arabo il Colonnello Muhammar Gheddafi, se in tutto il fronte arabo ha trovato voci in sua difesa nella Siria e nell’Algeria, unici Paesi della Lega Araba che si sono schierati contro la no-fly zone e la risoluzione dell’Onu che la istituisce. Ma prima ancora della riunione del 19 marzo della Lega Araba, che ne chiedeva all’Onu l’istituzione per motivi umanitari e di protezione della popolazione civile libica, si era mosso il Consiglio di Cooperazione del Golfo – che riunisce i Paesi del Golfo Persico – sollecitando l’8 marzo un embargo aereo sui cieli della Libia. E in maniera ancor più chiara il segretario generale del Consiglio la scorsa settimana avallava l’uso della forza e elogiava le forze della «Coalizione dei volenterosi» per «proteggere il popolo libico dallo spargimento di sangue». È a partire da queste posizioni che la Lega Araba, guidata ancora per pochi giorni dall’egiziano Amr Moussa, ha potuto prendere la decisione – per la prima volta nella sua storia – di chiedere una risoluzione all’Onu contro uno dei suoi Stati membri e partecipare dopo vent’anni a un intervento militare occidentale in Medio Oriente (l’ultima volta fu nel 1991 nella guerra contro Saddam che aveva invaso e si era impadronito del Kuwait). Certo, timorosi che magari all’interno dei propri confini potesse montare una protesta di piazza c’è stato qualche basculamento dopo i primi bombardamenti, ma il “fronte arabo” nella sostanza è compatto sull’intervento, anche se con toni e motivazioni diverse. La posizione araba è chiara: lo scopo dell’intervento in Libia non è rovesciare Gheddafi – e aprire sulle rive del Mediterraneo un’altra crisi come quella in Iraq dopo la caduta di Saddam – ma «riequilibrare» le forze sul campo. Spetterà  poi ai rivoluzionari libici scegliere il destino del raìs, della sua cerchia e il futuro del Paese. L’Egitto post-Mubarak guidato dai generali appoggia l’azione militare in Libia per segnalare ai suoi cittadini che sostiene la lotta per i diritti umani e la democrazia, così come ha fatto l’Iraq, presidente di turno della Lega Araba. Ma Il Cairo, pur disponendo dell’esercito migliore fra i Paesi mediorientali, ha scelto di non partecipare alle operazioni militari. Il perché lo ha spiegato bene ministro degli Esteri Nabil Elaraby: ci sono centinaia di migliaia di cittadini egiziani oltre confine che potrebbero essere oggetto di rappresaglie da parte del regime del Colonnello. Più discretamente, la Giunta militare egiziana, attraverso il confine con la Cirenaica, sta armando il nascente esercito della nuova Libia rispondendo all’appello che è venuto da Bengasi, che chiede armi leggere e armi anti-carro per affrontare i tank T-72 e T-92 dell’esercito di Gheddafi. Ruolo discreto ma decisivo perché alla fine è sul terreno che si combatterà  la battaglia finale. L’Arabia Saudita – il Paese più influente del Golfo Persico – è stato subito favorevole all’intervento sotto l’ombrello dell’Onu perché rafforza la legittimità  del suo recente intervento militare a sostegno della monarchia in Bahrein, minacciata dalle manifestazioni di piazza della minoranza sciita che chiede riforme e più partecipazione alla vita politica. L’intervento in Bahrein è stato “autorizzato” dal Consiglio di Cooperazione del Golfo, organismo di mutuo soccorso militare e economico fra i paesi dell’area, che nacque in funzione anti-Iran. L’Arabia Saudita, così come la Giordania e il Kuwait, ha deciso di dare un appoggio, per il momento, solo logistico alle operazioni in Libia. Spicca, perché Hezbollah è parte decisiva del governo, la posizione del Libano. Nel Paese dei Cedri sono gli integralisti filo-Iran a gestire le danze. Eppure l’ambasciatore di Beirut all’Onu, insieme ai colleghi di Francia e Gran Bretagna, è stato tra i redattori del testo della Risoluzione 1973. Il fronte degli arabi “interventisti” è guidato da Qatar e Emirati Arabi Uniti, i primi due paesi mediorientali ad annunciare la loro partecipazione alla no-fly zone con i loro caccia, i Mirage e gli F-16. L’emirato guidato da Hamad Bin Khalifa Al Thani, nonostante la sua modesta dimensione territoriale, ha una grande influenza in questo momento nel mondo arabo: il Qatar è presente in ogni mediazione, trattativa, iniziativa che riguardi il mondo arabo e la grande disponibilità  finanziaria ne fa sempre un protagonista. Non può stupire la posizione negativa della Siria, paese dove da settimane l’opposizione scende in piazza per chiedere democrazia e affronta una sanguinosa repressione. E anche l’Algeria affronta la stessa tempesta. Bashar Assad sente che l’ondata rivoluzionaria che sta investendo tutto il Medio Oriente è arrivata anche alle porte del suo palazzo presidenziale a Damasco. Assad attacca «l’ingerenza straniera in Libia» sapendo che presto potrebbe trovarsi di fronte allo stesso dilemma che affronta oggi Gheddafi: resistere o abbandonare? Tutto sembra indicare che la Siria potrebbe essere la prossima tessera del domino mediorientale a cadere.

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