by Editore | 29 Marzo 2011 6:24
ROMA— Le aree per l’allestimento dei centri provvisori dove trasferire i migranti sono state individuate in tutta Italia. Sono tredici «siti» messi a disposizione dal ministero della Difesa e gestiti direttamente dal Viminale. Ma soltanto domani, al termine del Consiglio dei ministri, si saprà se davvero ospiteranno i tunisini portati via da Lampedusa. Perché il piano alternativo del governo prevede il respingimento di massa e dunque — se fino a domani non ci sarà un blocco degli sbarchi — la nave San Marco e quelle della flotta Grimaldi potrebbero fare direttamente rotta su Tunisi. Sono numerosi i dettagli che si stanno mettendo a punto in queste ore, anche per superare le numerose difficoltà giuridiche soprattutto per quanto riguarda il diritto internazionale. E per evitare — questo è il rischio più temuto — che gli stranieri si rifiutino di lasciare l’isola. Il piano studiato con il prefetto Giuseppe Caruso, commissario straordinario per l’emergenza immigrazione, prevede che gli stranieri approdati sull’isola siciliana senza permesso vengano portati altrove. Tra le città individuate oltre a Taranto, ci sono Caltanissetta, Pisa e Potenza. Ma la linea che il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha già illustrato al presidente del Consiglio e agli altri esponenti di governo prevede un’azione di forza se le autorità di Tunisi decidessero di non dare seguito all’impegno preso venerdì scorso di intensificare i controlli sulle proprie coste per fermare le partenze. «Procederemo con i rimpatri forzosi» , ha affermato due giorni fa il titolare del Viminale. E poi ha predisposto questo piano alternativo partendo dal presupposto che i migranti si trovano ancora in una zona di frontiera dove sono sottoposti alle procedure di identificazione e dunque possono essere «respinti» . Un avvertimento alla Tunisia, ma anche una sfida nei confronti dell’Unione Europea che non ha fornito alcuna risposta agli appelli dell’Italia. Un’iniziativa che — come avvenne per i respingimenti concordati con la Libia— rischia di provocare nuove e durissime polemiche a livello internazionale. Anche perché si tratterebbe di una decisione presa senza l’assenso del Paese d’origine. Il primo ostacolo da affrontare riguarda la guida delle navi, perché si tratta di mezzi civili e dunque è difficile che si possa obbligarli non soltanto a entrare in acque internazionali, ma soprattutto a sconfinare in quelle tunisine. E poi bisogna stabilire a chi spetti il compito di effettuare le scorte. Nonmeno complicato da risolvere è il problema dell’ordine pubblico che vedrà impegnati la polizia, i carabinieri e la Guardia di Finanza già chiamati a tenere sotto controllo la situazione di Lampedusa. Il potenziamento dei contingenti è già stato predisposto in vista dello «sfollamento» e riguarderà anche i servizi di vigilanza nei Cie temporanei perché, a differenza dei profughi, gli extracomunitari irregolari non sono liberi di muoversi ma possono essere trattenuti fino a diciotto mesi. Una situazione pesante che già provoca la reazione allarmata dei sindacati di polizia. È Nicola Tanzi, segretario del Sap, a mettere in guardia sulla «necessità urgente di concordare una efficace strategia e mettere in campo una linea di comando chiara. E poi bisogna incrementare il numero di personale in servizio, oltre ai mezzi, perché con le forze a disposizione non siamo in grado di controllare nel miglior modo possibile gli immigrati e di impedire fughe, tenendo anche conto che la maggior parte di loro è costituita da uomini e giovani, pochissime donne» . Preoccupazione forte per le conseguenze che questa emergenza può avere viene espressa anche da Claudio Giardullo, segretario del Silp Cgil che parla di «piano alternativo irrealizzabile perché la condizione necessaria a rimpatriare un clandestino è l’accertamento della sua identità e dunque del Paese d’origine. Il rimpatrio forzoso rappresenta una torsione delle norme e degli indirizzi internazionali che rischia di far degenerare la situazione creando più problemi che soluzioni e che espone in maniera forte anche le forze dell’ordine chiamate a gestire la crisi».
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