Il romanzo di guerra scritto da una donna

by Editore | 30 Marzo 2011 6:09

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Prendete La grande occasione di Olivia Manning: è un libro di matrimonio e guerra, anzi “il più bel libro di guerra scritto da un inglese” secondo Anthony Burgess. Vi aspettereste allora di trovarvi in mezzo alle bombe, alla morte, ad azioni eroiche, oppure, visto che si tratta del secondo conflitto mondiale, in mano ai tedeschi, nella Londra che resiste, nei lager. No, niente di tutto questo. Il racconto semiautobiografico con cui la Manning (1908-1980) aprì la sua Trilogia dei Balcani, e da cui la televisione inglese ha tratto un serial tv con Emma Thompson e Kenneth Branagh, è insolito e spiazzante. Innanzitutto si svolge a Bucarest (dove la Manning fu davvero insieme al marito), considerata “la Parigi dell’Est” nel 1939, quando si svolgono i fatti, un luogo da cui invece, nel nostro immaginario, ogni aurea mondana è stata cancellata, annegata in decenni di socialismo reale. L’altro aspetto sorprendente è il punto di vista da cui si vive un momento tanto epocale: siamo sempre tra bar e ristoranti, nei salotti, tra whisky, caviale e quaglie, a far compere per strada, nei grandi alberghi e nei parchi, in un mondo che ha paura ma stenta a voler riconoscere, come forse nella realtà  succede davvero, l’avvicinarsi della catastrofe. Eppure il consolato tedesco tutti i giorni mostra su dei tabelloni per strada, con delle grandi frecce rosse, l’avanzata della Wermacht, prima a Est, poi a Nord, a Ovest…. I nostri protagonisti, Harriet e Guy, sposi britannici novelli, arrivano in città : lui insegna inglese per conto del British Council. La Polonia è già  stata invasa. In treno hanno potuto vedere profughi disperati. Ma il dramma non arriva né ai loro cuori né alle loro menti: è la dinamica della società  che scorre loro intorno, gli amici della legazione britannica incontrati al bar, gli scambi di chiacchiere con i giornalisti e gli uomini d’affari anglosassoni, con lo strano principe Yakimov, uno squattrinato scroccone di professione sempre affamato. Guy, socialista, è così coinvolto da tutti da non riuscire a vedere o a capire di cosa ha bisogno Harriet, volitiva quanto smarrita. In teoria il loro matrimonio è il perno del racconto, ma sono gli incontri con i vari Clarence Lawson (un addetto inglese ai profughi polacchi), con il manager Wooley, con il capo legazione Inchcape, con David Boyd, i loro discorsi inconcludenti sulle sorti della guerra, oppure la festa un po’ sordida nella suite della baronessa Teodorescu, l’invito a pranzo dal banchiere ebreo Drucker presto in disgrazia, sono queste le forze centripete dell’affresco; sono gli sguardi sui “Balcani terre selvagge popolate di bestie feroci”, i cavalli dei calessi pelle e ossa, i mendicanti raccolti ogni mattina da un carretto ormai morti congelati, ad attrarre la nostra attenzione. Guy, per tenere alti gli spiriti, non trova di meglio che organizzare al teatro una rappresentazione di “Troilo e Cressida” impegnando tutti i connazionali che trova. Magnifica serata: fuori sui tabelloni tedeschi campeggia la presa di Parigi. Per tutti loro è ora di andarsene.

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