Governo, via al rimpasto Romano va all’Agricoltura
ROMA — «Devi solo avere pazienza…» , lo aveva rabbonito il premier nei giorni in cui la nomina di Saverio Romano pareva al tramonto. E ieri, con la pazienza del «responsabile» siciliano ormai agli sgoccioli, Silvio Berlusconi è salito al Quirinale al fianco del leader del Pid, il deputato «democristiano nella mente e nel cuore» che a settembre aveva lasciato l’Udc per traslocare in maggioranza. Ma quando è sceso dal Colle, dopo la firma di Napolitano e il giuramento, il neoministro delle Politiche agricole ha avuto un’amara sorpresa. Una nota con cui l’Ufficio stampa del Quirinale mette agli atti i dubbi del capo dello Stato per le inchieste di Palermo, che lo vedono in attesa di archiviazione per concorso esterno in associazione mafiosa e indagato per corruzione. Un richiamo senza precedenti, che scatena l’assalto delle opposizioni e rovina la festa al neoministro. «Sono dispiaciuto» , commenta a caldo Romano. È amareggiato, basito per il comunicato in cui si parla di «gravi imputazioni» e delle «riserve» del capo dello Stato, perplesso sull’ «opportunità politico-istituzionale» della nomina. Il presidente non ha condiviso l’indicazione del premier, ma poiché «impedimenti giuridico-formali» non ce ne sono, ha ritenuto di dover firmare. Però non è contento e fa mettere nero su bianco l’auspicio «che gli sviluppi del procedimento chiariscano al più presto l’effettiva posizione del ministro» . Per Romano — che prende il posto di Giancarlo Galan, promosso ai Beni culturali in sostituzione del dimissionario Sandro Bondi — è un colpo inatteso. Si fa fotografare col gessato blu e il sorriso di ordinanza, ma poi, a tavola con la famiglia e lo stato maggiore del Pid in un ristorante romano, si sfoga: «Lo scivolone dell’Ufficio stampa del Quirinale è gravissimo, una cosa da dimissioni. E quali sarebbero le gravi imputazioni? Io non sono imputato, non ho procedimenti in corso. Su di me pende una richiesta di archiviazione» . Il sospetto di Romano è che qualcuno, tra i suoi nemici, ci abbia messo lo zampino: «Non può essere farina del sacco di Napolitano… Sono veleni interni al centrodestra» . Più tardi, con i giornalisti alla Camera, definisce «inesatta» la nota del Quirinale, scritta con «terminologie improprie» che «non riflettono il pensiero del capo dello Stato» . Il ministro chiama Gianni Letta, sente Schifani e chiede loro di attivarsi. E nel pomeriggio, dopo che l’Ufficio stampa del Quirinale ha sottolineato di aver parlato di imputazione e non di imputato, lo staff di Romano fa sapere di un «chiarimento telefonico» con Napolitano. Antonio Di Pietro attacca: «Il capo dello Stato non doveva firmare» . E un Pier Luigi Bersani «sconcertato» invita ad ascoltare l’avviso del presidente, uno «che non parla mai a vanvera» . Berlusconi però, parlando coi suoi, difende la scelta: «Romano è una persona cristallina, su di lui non c’è nulla. Ci sono solo due frasi in due intercettazioni. È una persona per bene, integerrima. È il ministro che mancava al Sud, in un settore decisivo come l’agricoltura» .
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