Fuori tafferugli tra fan e contestatori “Silvio, Silvio”. “Dai le dimissioni”

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MILANO – Il giudice Maria Vicidomini, arrivata a Milano a novembre, resta al settimo piano con il fascicolo Mediatrade. Il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati guarda distrattamente dalla finestra: e corso di Porta Vittoria, visto dall’alto del palazzo di giustizia, sembra un campo di battaglia, con tanto di «eserciti» che si fronteggiano. Il fedelissimo sindaco d’Arconate, e senatore Mario Mantovani, ha inviato «personalmente» seicento sms ai berlusconiani milanesi. Sotto le bianche tende ci sono, si e no, cinquanta persone. Alcune delle quali hanno un eloquio e un look disarmanti, e la maggioranza mostra i segni di un’età  da pensione: «Lo accusano di andare con le z., questi signori, ma chissà  le loro sorelle, le loro mogli…», va ripetendo una signora sovrappeso. Di fronte, i dipietristi sono un pugno, stendono almeno uno striscione carogna: «Bentornato, dentro ti stanno aspettando». Di circa uno a quattro è il soverchiante rapporto tra manifestanti vari e la massa di giornalisti, cameraman, fotografi, cronisti delle radio e dei siti. Quando, poco dopo le 11.30, Silvio Berlusconi arriva per un saluto, non lo può dare come vorrebbe. Sorride. È solo lui a farlo. Urla dolenti degli schiacciati coprono i «Sil-vio, Sil-vio». Richieste dei fotoreporter («Presidente, si giri, una foto») inabissano i miseri «hip hip urrà , Silvio, dì a questi di spostarsi». L’impressionante forza d’interdizione – carabinieri e poliziotti con scudi a centinaia, Digos e nucleo informativo dovunque – rende impossibile l’accendersi di qualsiasi diverbio a distanza ravvicinata, o pericolosa per il premier. C’era stato chi passando in auto grida: «Mafiosi!». Chi si era fatto sotto, e mimava il gesto delle manette, gridando «Ladri». Ogni tanto, i berlusconiani reagiscono, ma la tensione e i tafferugli si stemperano presto. E quando arriva Silvio, non c’è altro che una morsa di divise a circondare ogni gruppo. Nei tre minuti che il premier resta, tre minutini scarsi e sovraffollati, non c’è il tempo per alcun argomento. Ma è sempre così: dalle accuse dei finanziamenti al Psi attraverso la società  All Iberian (epoca Tangentopoli) ad oggi mai – mai, dice la cronaca – Berlusconi ha affrontato un interrogatorio «dentro» palazzo di giustizia e mai ha accettato un’«intervista» fuori con chi sa di che cosa si sta parlando. Sempre e solo dichiarazioni spontanee, e videomessaggi. «Tutto bene, mi sto preparando per il 4 aprile», riesce a dire il premier. «È andata bene, sarò in aula la prossima udienza», ripete con altre parole. È salito sul predellino, una guardia del corpo gli appoggia sulle spalle una borsa antiproiettile: «La vicenda Ruby può danneggiala?», gli viene chiesto. «Questo è un altro processo», è la risposta, e via così. «Berlusconi ha la forza della verità », esulta per le tv Daniela Santanché, mentre intorno si sentono altri strepiti. «Codardo, dai le dimissioni», gridano gli uni, «Silvio Silvio» invocano gli altri dal gazebo, ma il corteo blindato già  si muove verso Linate. Lunedì prossimo si ricomincia: una claque fissa sotto un tribunale non c’era mai stata. Sinora.


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