Dagli indiani “buoni” ai mujahiddin afgani l’eterna tentazione della guerra per procura.
È l’incubo dell'”effetto Al Qaeda”, lo spettro di Osama Bin Laden, quello che frena la Casa Bianca che vorrebbe armare i ribelli libici e vincere questa strana guerra per procura. Nel linguaggio dello spionaggio è il “blowback”, il ritorno di fiamma che colpisce chi ha appiccato l’incendio. Sono le armi date agli amici che poi si rivoltano contro chi li ha armati. «Ricordatevi – ammoniva il sempre inascoltato generale Colin Powell – quando avete messo un fucile nelle mani di qualcuno, è poi lui che decide a chi sparare domani». La tentazione, la tattica, la speranza di far combattere ad altri le tue guerre, di condurre campagne militari per conto terzi sono una costante nella storia degli imperi, e dell’America, da quando i generali in giubba blu distribuivano le carabine Winchester agli “indiani buoni” nel West perché aiutassero la cavalleria a sparare contro gli “indiani cattivi”. Ma se allora, nella metà dell’Ottocento, la formula degli ausiliari più o meno funzionò, nonostante i molti fucili che puntualmente i “buoni” rivendevano ai “cattivi”, sono state molte più le occasioni nella quali è scattato invece il blowback, una parola che viene dal gergo dei vigili del fuoco davanti agli incendi che ruggiscono alla rovescia sulla loro faccia quando aprono la porta. Sembrò un successo straordinario, celebrato da libri e da un film di cassetta con Tom Hanks, “La guerra di Charlie Wilson” l’idea del deputato repubblicano Wilson del Texas che riuscì a convincere la Cia, la Casa Bianca di Jimmy Carter e soprattutto di Ronald Reagan, a rovesciare migliaia di armi sempre più sofisticate sulle bande dei mujahiddin afgani. Piovvero casse di Stinger, i pungiglioni, i piccoli, micidiali missili portatili che i combattenti di Allah lanciavano contro gli elicotteri e i bombardieri a bassa quota dell’Armata Rossa, facendone strage. Gli istruttori della Cia e del Pentagono addestrarono migliaia di resistenti afgani, strappandoli ai loro rudimentali catenacci inglesi Enfield, ai Kalashnikov tarocchi costruiti in Pakistan, per portarli all’età dei radar e dei raggi infrarossi. Impararono bene la lezione, i mujahiddin, troppo bene. Sconfitti i sovietici, quelle armi restarono nelle loro mani. E l’incubo di quegli Stinger, dei questi superbazooka antiaerei infallibili a bassa quota, perseguita da allora tutti gli aeroporti. Ma è una sirena difficile da respingere, come oggi Obama sta vedendo, quella della guerra condotta a distanza, da altri a nome e per conto tuo, senza rischiare una sola vita dei tuoi. L’Oss, il servizio segreto americano che fu il progenitore della Cia, lanciava rifornimenti, armi e munizioni ai partigiani delle Resistenze anti-tedesche nell’Europa occupata, con molta prudenza e parsimonia in Italia per il timore di armare quelle unità Garibaldine comuniste che poi avrebbero potuto usarle per prendere il potere a Roma. Ma la presenza delle truppe alleate dopo la Liberazione, e le scelte politiche dei popoli europei liberi, spensero sul nascere il rischio di un ritorno di fiamma. Servì a nulla, invece, armare i montanari del Sud Vietnam, i montagnards fieramente anti-comunisti che si batterono a fianco delle truppe americane e del governo di Saigon senza potere fare altro che infastidire i Vietcong e le linee di rifornimento del Nord. Meno ancora funzionarono gli sgocciolii di armi passate ai pochi ribelli anti-castristi di Cuba, inducendo Kennedy a un’altra, sciagurata azione di “guerra per procura” finita nel disastro della Baia dei Porci. Mentre qualche anno prima, nel 1956, i patrioti ungheresi che ascoltavano Radio Free Europe e la Voice of America attesero invano quegli aiuti alla rivolta che la propaganda diffondeva. Furono lasciati soli, nel timore di un conflitto mondiale est-ovest, davanti ai cingoli “fraterni” dei T-55 sovietici. In un’altra operazione simile, l’armamento dei Contras nicaraguensi per rovesciare il governo sandinista, un presidente come Reagan rischiò da vicino l’impeachment, l’incriminazione e la possibile destituzione, per avere violato una legge che proibiva di finanziare o armare le bande in Nicaragua, e furono soltanto il sacrificio di un colonnello dei Marines, Oliver North, che si assunse tutte le responsabilità , e l’immensa popolarità di Reagan che sostenne di «non ricordare», a salvare il presidente. I sandinisti persero il potere, ma non per merito dei guerriglieri telecomandati. Armare oggi i ribelli libici anti-Gheddafi che scorrazzano per le poche strade costiere della Libia nella classica “Guerra delle Toyota” contro i panzer e l’artiglieria semovente del raìs, percorrendo all’andata e al ritorno le linee secondo il classico andamento delle guerre nel deserto dagli anni di Rommel e del maresciallo Montgomery, sembra la soluzione più ovvia, più invitante. Il costo di qualche cassa di missili portatili, di qualche mortaio, di batterie di razzi-anti carro ormai anch’essi facili da usare e da trasportare, è infinitamente inferiore al valore di un missile Cruise tipo Tomahawk, che ormai avvicina il milione di dollari a pezzo. Le scorte di Cruise non sono infinite. I jet da appoggio tattico, o gli aerei come gli A10 o gli Hercules attrezzati per inondare un campo di battaglia con munizioni anti-personale e anti-tank, sono purosangue costosi e delicati, come la perdita di un F15 Aquila per guasti tecnici ha dimostrato. La guerra è loro, se la combattano loro con i mezzi che noi forniamo, è l’ipotesi che si fa strada, approfittando dei porti cirenaici ancora sotto il controllo degli insorti. Forse è la soluzione ideale. Armiamoli e partite. Il problema, insegna la lezione del blowback afgano, è sapere poi dove si fermeranno, una volta arrivati a Tripoli.
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