Da quel salotto borghese uno sguardo sull’Italia

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C’era Moravia, seccato perché l’agenda delle pagine culturali anziché dalle notizie è dettata dagli anniversari: «Sembra che gli scrittori passino la vita a nascere o a morire». C’era Kundera, stupito del successo italiano del suo romanzo L’insostenibile leggerezza dell’essere, lanciato in tv da Arbore: «Ringrazierò per la recensione il professor Quelli della notte». C’era Daverio, divertito per la nomina ad assessore alla cultura della prima giunta leghista di Milano: «Ero l’unico barbaro col farfallino». C’era Bocca, amareggiato per l’involuzione del 25 aprile: «Era la festa degli antifascisti contro i fascisti, oggi è diventata la festa del postantifascisti contro i neo afascisti». E soprattutto, e sopra tutti, c’era lei, Fulvia, la padrona di casa, turbata per le vittorie di Berlusconi («fatalità  o errore umano?»), tentata dall’espatrio («L’altra volta ho comprato un appartamento a Parigi. Se vince anche stavolta mi compro un loft a New York. Gli errori della sinistra mi stanno costando una cifra!»), intanto compiaciuta per il successo del suo salotto: «Di qui sono passati la contestazione, gli anni di piombo, il compromesso storico, il postmoderno, il postindustriale, il made in Italy… È ora di cambiare i divani». Il sabato sera andavano tutti da Fulvia, la giovin signora milanese, borghese e progressista, protagonista della striscia più snob della storia della satira italiana, specchio dei vizi e dei vezzi, dei sogni e della disillusioni della buona società  intellettuale. «Una donna che ci siamo divisi per trent’anni» sorride Tullio Pericoli, autore con Emanuele Pirella della fiction settimanale a fumetti “Tutti da Fulvia sabato sera”. Pericoli, marchigiano, genio dell’illustrazione, e Pirella, parmigiano, mago della pubblicità  (la banana dieci e lode, non avrai altro jeans all’infuori di me) si incontrano a Milano, diventano amici, decidono di lavorare insieme. Tullio disegna le caricature, Emanuele scrive le sceneggiature. Fulvia era «l’incontrastata padrona di casa di quel gran salotto che è ormai diventata l’Italia dei mass media», teatro di «pettegolezzi blandi, chiacchiericcio giornalistico e televisivo, bisbigli e sussurri di vanità ». Il nome è di un’amica, Fulvia Serra, braccio destro di Oreste Del Buono a Linus, la rivista di fumetti per la quale collaborano. L’identità  del prototipo, Pericoli preferisce tacerla, dice anzi che non esiste. Ma è lecito immaginarla buona amica della giornalista Lina Sotis (cui un po’ somiglia), della fondatrice del Fai Giulia Maria Crespi, delle editrici Inge Feltrinelli e Rosellina Archinto. Fulvia debutta nel 1976 sulle pagine culturali del Corriere della Sera diretto da Piero Ottone. Chiude casa due anni dopo e la riapre nel 1982, complici Eugenio Scalfari e Rosellina Balbi, su Repubblica. Dove organizzerebbe ancora le sue serate, se Pirella non ci avesse lasciati. «Continuare senza di lui non avrebbe avuto senso» dice Pericoli, che a un anno dalla morte dell’amico lo ricorda con una mostra, “Tutti da Fulvia” (alla galleria Nuages di Milano, dal 5 aprile al 7 maggio) dove allinea 58 tavole originali più una, in copertina del catalogo. Ecco Calasso quasi spaventato dal successo della sua Adelphi: «La nostra idea era pubblicare libri per pochissimi, oggi purtroppo ci tocca pubblicare libri per pochi». Eco, tra gli ospiti più assidui: «Sono incerto se scrivere il romanzo che chiude il secolo o scrivere quello che lo apre». E una Fulvia che è sempre più spesso sola, meno mondana. «La guerra umanitaria della Nato sta provocando ogni giorno morti tra i civili» riflette a proposito della ex Jugoslavia. D’altra parte, «quando si è umanitari, non si può andare tanto per il sottile».


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