Contaminato anche il mare ma al mercato ittico di Tokyo il tonno rosso scaccia la paura

by Editore | 23 Marzo 2011 7:33

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TOKYO – Il tonno rosso salverà  il Giappone, o almeno gli rimetterà  a posto il morale devastato da mille paure. Una distesa senza fine di pesci giganti, stesi ai piedi di concentratissimi giovanotti in stivali di gomma, fanno da coreografia a una delle più sacre cerimonie del Paese. Un solenne rito scaccia incubi che consola dal disastro dello tsunami, dal terremoto che ancora fa dondolare grattacieli e cavalcavia della Capitale, e che lancia una sfida all’ennesima brutta notizia in arrivo da Fukushima: le acque del mare che lambiscono la centrale nucleare presentano preoccupanti dosi di sostanze radioattive. Alba di un piovoso martedì a Tsukiji Shijo, il mercato del pesce più grande del mondo, nel cuore di una Tokyo che riprende a vivere dopo tre giorni di festa e di preoccupazioni. L’officiante è un vecchietto barbuto con il cappellino giallo, recita una nenia incomprensibile anche agli stessi giapponesi. Quelli con gli stivali rispondono a turno con misteriosi gesti delle mani. E’ l’asta che ricomincia e che rifornirà  in poche ore gli insaziabili negozi, mercatini rionali e ristoranti di una città  dove il pesce, e il tonno in particolare, sono elemento fondamentale della alimentazione e, dicono, perfino della filosofia di vita. Ma c’è poco da fare valutazioni sociologiche. Per i grossisti con gli stivali che si spartiscono in pochi minuti più di 500 tonni, razziati e congelati su è giù per tutti i mari del pianeta, questo è solo un momento felice, di ritorno a una parvenza di normalità . «Tutto come prima», dice uno che segue trafelato il suo carico trasportato a velocità  folle da un ragazzo su un carrellino elettrico: «La gente vuole mangiare e non ha paura delle radiazioni. Vendite e consumi sono rimasti uguali. E perfino i prezzi». E così sembra. Almeno a giudicare dalla lunga fila di ombrellini bianchi e neri che affronta la pioggia sottile per disperdersi tra le bancarelle e le minuscole trattorie che circondano il grande altare dell’asta dei tonni. Donne, ragazzi, impiegati in attesa di andare in ufficio, si beano come sempre tra prelibatezze di ogni genere. Ci sono le alghe Kombu, quelle “magiche” che renderebbero ultracentenari gli anziani di Okinawa, le cozze giganti, polpi e priovre di ogni colore, ma perfino pesce azzurro arrivato in aereo dall’Italia. Un’atmosfera un po’ blade runner che tanto piace ai turisti occidentali. E che sono gli unici grandi assenti nel giorno simbolico della ripresa. Akiro Yashimoto che vende onigiri, le polpette di riso e pesce da mangiare per strada, se ne esce con una battuta che suona singolare in bocca a un giapponese: «Gli occidentali sono scappati. Torneranno. Intanto stiamo più tranquilli senza tutta quella gente che ti scatta fotografie». Che la fuga degli occidentali, dei gaijin, possa avere qualche giustificazione non sfiora nemmeno il popolo di Tsukiji Shijo fiero di essere il motore del Paese che non molla. Un’anziana in kimono nero che serve tè verde a un gruppo di trasportatori assonnati parla da conoscitrice di uomini e pesci: «I gaijin esagerano sempre. La tv dice che la centrale di Fukushima è ormai a posto. Io ci credo. E poi su quelle coste non c’è più una sola azienda in attività . Il pesce viene tutto dall’estero e al massimo dalla zona di Hokkaido dove c’è l’acqua più limpida del Paese». Sarà , ma proprio nella notte, dopo la segnalazione di quantitativi venti volte superiore al normale di Stronzio e Cesio radioattivi nel mare di Fukushima, il ministero aveva ordinato controlli in tutti i mercati itttici. Ordine solo teorico. Si capisce entrando nei locali della Sovrintendenza circondati da cassette vuote e mucchietti di alghe secche. Il controlli sono sempre gli stessi. Cioè “a occhio”. Perché il pesce qui sanno come riconoscerlo e perché le radiazioni non potranno mai arrivare a lambire altre coste: «Lo ha detto poco fa la radio». Un po’ vago, ma sufficiente se si vuole a tutti i costi mantenere l’ottimismo imposto dal governo anche a giornali e tv. Giù, nel capannone a fianco all’altare dei tonni, il tagliatore ventenne Akiro si esibisce nell’arte di listellare per il sashimi e il sushi una carcassa di tonno da più di cento chili. Mostra con orgoglio il suo horoshi hocho, coltello di un metro e mezzo. Ride dei soliti gaijin che spesso lo confondono con una spada da samurai. E ci tiene a far sapere di non essere un credulone. «Quello che è successo è grave e il governo non ci dice tutto. Ma per uscirne dobbiamo continuare a fare le nostre cose, tagliare il pesce e mangiarlo».

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