by Editore | 29 Marzo 2011 6:08
Anticipiamo parte dell’intervista di a Manuel Castells che appare sul prossimo numero di Reset Negli ultimi anni e anche nel suo saggio più recente, Comunicazione e potere, Manuel Castells ha teorizzato l’instaurarsi di un progressivo equilibrio tra i vecchi poteri mediatici (comunicazione di massa, entertainment, società di telecomunicazioni, produzioni televisive ecc.) e le nuove opportunità offerte dalla telefonia mobile, dai social network e da tutti quei dispositivi ormai sempre più diffusi a livello globale. Sembra si sia trattato di un bilanciamento senza un esito predeterminato. Quel che sta attualmente accadendo nel mondo arabo sembra improvvisamente sancire la fine di tale equilibrio. Chiediamo a Manuel Castells se non gli sembra che sia successo qualcosa di rivoluzionario: a un certo punto è stata definitivamente oltrepassata una soglia cruciale. È d’accordo? «Sì, per quanto se avessimo seguito da vicino quanto sta accadendo nelle società di tutto il mondo, soprattutto nella fascia di popolazione al di sotto dei 30 anni, ci saremmo accorti che i segnali c’erano tutti. Nel mio saggio pubblicato ad agosto del 2009 l’analisi proposta indicava già chiaramente come i network orizzontali di comunicazione tipici di internet e del wireless offrissero ai movimenti sociali opportunità di gran lunga maggiori in termini di auto-mobilitazione e auto-organizzazione, dal momento che la comunicazione è la chiave di ogni attività umana e che internet e il wireless hanno definitivamente infranto il monopolio della comunicazione filtrata da governi e aziende. Il potere è nell’antenna del proprio dispositivo di comunicazione mobile, perché è quello che connette tra loro le menti delle persone». Oggi viviamo in un contesto di trasparenza? Tra le fasce più alte e quelle più basse della società e il potere politico assistiamo forse a un mutamento irreversibile? «È irreversibile perché la tecnologia della comunicazione opera una disintermediazione della comunicazione di massa e perché ci troviamo nel pieno della rivoluzione digitale. Dal momento che è molto difficile riuscire a controllare le reti (l’Egitto ci ha provato e ha fallito su tutta la linea), il mondo in cui viviamo è caratterizzato da un flusso perlopiù libero di comunicazione. Certamente i messaggeri possono essere identificati e puniti, ma i messaggi vanno avanti per la loro strada. Così stando le cose, se i poteri esistenti non possono controllare le menti, la gente è libera, almeno intellettualmente. Come questo si traduca in autonomia sociale e libertà politica dipende dai processi specifici e dalle specifiche società , ma sicuramente stiamo assistendo all’alba di una nuova era di profondi cambiamenti sociali e politici». Le tecnologie orizzontali di “auto-comunicazione di massa” (come la chiama Lei) sembrano produrre conseguenze diverse nei diversi contesti. In situazioni drammatiche, in società oppresse e povere, pare siano veramente diventate un’arma di libertà , uno strumento di sicurezza, rivoluzionario. Nelle società affluenti invece non sembra che queste tecnologie riescano ad aiutare la sfera politica a tenere a freno il populismo galoppante. Al contrario. «Non sono d’accordo. In tutti i casi Internet sta agevolando i movimenti popolari e una più libera espressione della società , a prescindere dall’establishment politico. Il punto è che i modi in cui la libertà viene sfruttata non sono garantiti dalla libertà stessa. In America, Obama non sarebbe stato eletto senza l’impiego di Internet in una straordinaria campagna popolare che ha mobilitato giovani e minoranze. Ma anche quello dei Tea Party è un movimento popolare, in effetti semifascista e populista, e anche per la sua diffusione e influenza Internet si è rivelata cruciale, perché Obama ha perso la battaglia per conquistare le menti della gente e la sinistra è completamente smobilitata, malgrado la battaglia del Wisconsin (un esempio di caro vecchio movimento di lavoratori) appaia oggi come un segnale di contrattacco. Non possiamo cedere al determinismo tecnologico. Internet garantisce la libera comunicazione, ma i contenuti di tale libertà dipendono dagli attori sociali». Qual è la sua reazione di fronte a cambiamenti così forti nella nostra area? «Penso che l’Europa stia attraversando una profonda crisi politica. Le istituzioni, i partiti, i leader, sono intrappolati nella propria storia, nei propri interessi personali, e in alcuni casi nella propria corruzione. Sono completamente tagliati fuori dalla società , e in particolare dalla società futura, vale a dire dalle generazioni più giovani, e dalle donne. L’Italia è paradigmatica in questo senso. Il fatto che un personaggio corrotto e sgradevole come Berlusconi possa venire eletto più volte è legato allo sconforto che ormai gli italiani nutrono nei confronti dell’intera classe politica. A questo punto, è essenziale la ricostituzione dell’autonomia politica a livello della base popolare, e questo dipende complessivamente dall’instaurarsi di comunicazioni orizzontali tra gli individui, che “bypassino” la presa dei media tradizionali. In questo senso il mondo arabo, nella sua forma laica e democratica, può indicare la strada all’Europa, secoli dopo che la cultura araba ha già illuminato le fino ad allora barbare società cristiane».
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