Cassonetti in strada e blocchi a Lampedusa scoppia la rivolta sei navi per sgombrare l’isola
LAMPEDUSA – La rivolta dei lampedusani, minacciata da giorni, è scoppiata. Bloccano l’ingresso del porto con le stesse barche con cui sono arrivati nell’isola, fino a oggi, 19 mila migranti. Le donne di Lampedusa s’incatenano e chiudono una delle strade principali, ribaltano i cassonetti della spazzatura. Gli uomini allargano striscioni: “Basta, siamo pieni”. Minacciano nuove proteste clamorose, basterebbe un incidente per provocare uno scontro fra disperati: da una parte i 5 mila residenti e dall’altra i 6 mila nordafricani, gran parte tunisini, approdati a Lampedusa. In mezzo poliziotti, carabinieri, finanzieri e militari dell’esercito arrivati in massa per tentare di gestire l’emergenza immigrazione in quest’isola dove non esistono più regole e dove la tensione sale di ora in ora. Le promesse del ministro degli Interni, Roberto Maroni – domani arriveranno sei navi e porteranno via tutti i profughi – , faticano a riportare la calma nel corso della giornata. Gli sbarchi continuano, dalla Tunisia, dalla Libia, dove gli scafisti imbarcano etiopi, eritrei, somali e alcuni nigeriani detenuti nei centri di accoglienza della Libia in guerra. Anche a Linosa, la piccola isola a 25 miglia da Lampedusa e che conta 300 abitanti, è scattata l’emergenza per l’arrivo di trecento extracomunitari delle aree cristiane dell’Africa subsahariana, dirottati lì per dividerli dai musulmani che occupano Lampedusa. Fra le donne giunte dalla Libia, quasi tutte incinte e con bambini piccolissimi ospitati a Linosa, si ascoltano storie da brividi. Due eritree, Sewiret Tarek e Abreha Tocha, entrambe di 28 anni, sono tornate dopo che lo scorso maggio avevano tentato di raggiungere Lampedusa. Furono bloccate in mare da una motovedetta della Guardia di Finanza, obbligata a eseguire l’ordine del ministero degli Interni: le avevano riportate indietro, sbarcate di nuovo in Libia. Ora raccontano: «Siamo state rinchiuse nelle prigioni del deserto libico per più di un anno, i militari ci picchiavano, maltrattavano», raccontano. Il loro viaggio è durato otto giorni. «Siamo state liberate dopo aver corrotto un militare». Si racconta, è l’ultima notizia che circola, che diversi bambini senza padri che circolano in mezzo ai profughi somali, eritrei, etiopi, siano figli di violenze sessuali. L’inferno dei nuovi viaggi porta con sé l’aggiornamento della contabilità dei morti nel Canale di Sicilia, annegati nel tentativo di raggiungere Lampedusa. In fondo al mare, come ha detto il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, negli ultimi sei anni sono finite oltre tremila persone. Di queste, 212 bambini. Gli ultimi trenta nelle settimane scorse, davanti le coste libiche e tunisine. Questi sono morti accertati perché decine di barconi, avvistati in viaggio per Lampedusa, non sono mai arrivati. E, come sempre, anche questa volta molti extracomunitari quando raggiungono la terraferma fuggono. Sono oltre 400 i minori che si sono allontanati dai centri dove erano assistiti, finiti chissà dove. A Lampedusa la rassegnazione dei giorni scorsi si è trasformata in rabbia disperata. Alcuni immigrati iniziano a rubare nelle case dei lampedusani in cerca di cibo e denaro. E per un furto trasformato in rapina – un uomo colpito al volto nella fuga del disperato ladro magrebino – tante sono le storie inventate, come quella che racconta di tunisini che «si mangiano i cani». Questa è Lampedusa oggi, un’isola che si ribella e che solo a tarda sera toglie il blocco navale e stradale. Dei settemila migranti presenti, tremila sono in un centro di accoglienza di cui si è chiesta la chiusura. Un letamaio. Si teme per le condizioni igieniche generali, il ministro della Salute Ferruccio Fazio ha inviato una task force sanitaria, ma l’inviato dell’Organizzazione mondiale della Sanità , Santino Severoni, rassicura: non ci sono rischi imminenti. E sono iniziati gli sbarchi anche sull’isola di Malta: ieri due barconi, cinquecento fra somali ed eritrei.
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