by Editore | 24 Marzo 2011 7:35
La Nato ha chiarito la propria posizione esclusivamente per una delle tre misure previste dalle risoluzioni delle Nazioni Unite: l’embargo. Nella sua configurazione unitaria e diretta la Nato ha assegnato all’ammiraglio statunitense Locklear, responsabile del Comando Nato di Napoli, la direzione di un’operazione che ha il compito di «monitorare, riportare e, se necessario, interdire i vascelli sospettati di trasportare in Libia armi illegali o mercenari». Il controllo operativo della componente navale di questa operazione è stato affidato ad un italiano e quella aerea ad un turco. Nulla di eclatante: dal 2002 è routine. La situazione rimane incerta per le altre due misure richieste dall’Onu: l’applicazione della no-fly zone e la protezione dei civili libici. Qui il gioco dei cappelli è virtualmente frenetico e praticamente fermo. Locklear, oltre a quello Nato ha i cappelli di comandante delle forze aeronavali americane per l’Europa, l’Africa e l’operazione contro la Libia Odyssey Dawn. Ammiragli e generali inglesi, francesi, canadesi, italiani e degli altri sette paesi della coalizione hanno ancora in testa i rispettivi cappelli nazionali e le singole nazioni sono responsabili di ciò che succede. Per il momento le loro operazioni sono dirette dall’americano, ma tutti si preparano a mettere un altro cappello, uno qualsiasi purché annacqui la responsabilità nazionale. Non è un gran passo in avanti: l’efficacia del cerchio da stringere sulla Libia, il destino di Gheddafi e quello dei suoi oppositori e la coesione della Nato dipendono ancora dalla volontà delle singole nazioni, dal rimbalzo delle responsabilità e dal gioco dei cappelli fra molti ammiragli e generali imbarazzati da un colonnello.
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