by Editore | 31 Marzo 2011 6:52
DAMASCO – Il presidente Bashar al-Assad s’affaccia dalla tv nelle case dei siriani, e pronuncia il discorso forse più atteso nel suo decennio al potere. Deve ridisegnare – così si aspetta la gente – il futuro del Paese. Il risveglio arabo lo impone. La morte dei civili negli scontri ha innescato la rabbia sopita per l’assenza delle libertà , il monopolio politico del Ba’th, gli abusi di un’élite privilegiata. Ci si aspetta l’abrogazione della legge marziale, della morsa del regime sulla res publica. Lui, alle 2 del pomeriggio, invece esordisce così: «Vi parlerò col cuore in questi tempi straordinari». Spalanca due sipari: quello dei «nemici esterni decisi a frammentare la Siria», e l’ammissione che «Il vento rivoluzionario è arrivato anche qui. Il consenso popolare, senza il quale io sarei rifiutato, esige di aderire ai diritti richiesti». Per 22 minuti Assad tenta un delicato esercizio di equilibrio fra quei due poli: da un lato «i complotti, il sabotaggio delle istituzioni dello Stato», dall’altro «l’inarrestabile onda della trasformazione nel mondo arabo». Parla di «cospirazioni» e indica Israele: «Vogliono frammentarci, imporci l’agenda israeliana». Cita Dera’a, teatro delle repressioni più dure, «città di patrioti» infiltrata da «una minoranza che vuole minare la sovranità del Paese». Minaccia: «Se battaglia dovrà essere, battaglia sarà ». Punzecchia a più riprese le tv satellitari con l’accusa di «spargere menzogne. Già si preparano a criticare il mio discorso». Infatti il biasimo piove entro breve per la mancata abrogazione dello stato d’emergenza, l’assenza di misure chiare sulle aperture prospettate alla stampa giovedì scorso dai suoi consiglieri. Lui intanto infrange il più sovrano dei tabù siriani quando, per la prima volta pubblicamente, nomina «le divisioni settarie» nel mosaico etnico e religioso della Siria. Parla di Latakia, fatta bersaglio «di una campagna di sms per aizzare le comunità una contro l’altra. Gli scontri avrebbero conseguenze inimmaginabili». Poi, accenna promesse. Verranno aperte inchieste, dice, per punire chi ha ucciso i civili. «Ho dato istruzioni precise di non colpire i cittadini siriani», ripete ma concede che «decisioni prese sul campo possono avere provocato vittime». Per il resto Assad la prende alla larga: «Ci sono ritardi da correggere». Traccia linee generiche. Rimanda alle riforme approvate dal Congresso straordinario del Ba’th, nel 2005. «Le bozze di legge sono già pronte. Si erano arenate sotto il peso delle pressioni esterne». Snocciola «i complotti contro la Siria» seguiti all’11 settembre, all’invasione dell’Iraq, all’assassinio dell’ex premier libanese Rafik Hariri, alle guerre in Libano e a Gaza. «La priorità era la stabilità . Ma ora dobbiamo mantenere le promesse inevase». Pochi forse ricordano la piattaforma politica approvata nel 2005. Suscitò entusiasmo: «La trasformazione più importante di cui si abbia memoria da quarant’anni», si disse allora anche fra i dissidenti. Prevedeva la messa in pensione della vecchia guardia, nuove regole per il sistema bancario e finanziario, l’abrogazione dei tribunali speciali, la liberazione dei prigionieri politici, il rinnovo dei vertici dell’Intelligence militare e della sicurezza politica. Salvo l’economia, non seguì alcun passo concreto. Assad assicura che «nel 2011 tutto sarà nuovo: governo, parlamento, consigli locali». Ma dal Dipartimento di Stato, più tardi arriva il disappunto: «E’ più facile vedere complotti che rispondere in modo sostanziale alla domanda di riforme». Da Parigi Juppé liquida: «È un discorso generico. Servono riposte concrete alla collera popolare». Fuori del Parlamento, il discorso scatena umori contrastanti. A Latakia esplodono nuovi scontri. Dera’a riscende in piazza. Testimoni parlano di altri feriti. Un capopolo di Twitter come Wissam Sharif al telefono si dipinge «scioccato, deluso: sono solo vaghe promesse». Fra i dissidenti, Michel Kilo, uno dei più rispettati, tre anni di carcere fino al 2009, ha «perso ogni speranza». Nel salottino di casa, ricorda «eccome, il “2005”, quando spingemmo le riforme ora rispolverate da Assad. Ma poi parla di complotti» come Mubarak e Ben Ali. Su un punto Kilo concorda col rais, «È vero che agenti esterni hanno una parte negli scontri di questi giorni. Però, lui s’attenga alle legittime richieste popolari». Solo fra i riformisti al governo balena un moderato ottimismo. Si racconta del formidabile braccio di ferro, fino a ieri in tarda sera, dietro le quinte del palazzo presidenziale fra chi premeva per lo stato di diritto, e chi puntava i piedi ché «non si fanno concessioni sotto pressione», pensando anche ai propri privilegi. Certo, dicono gli ottimisti, il rais non ha fissato il calendario delle riforme, delegando il compito ai tecnici. Però, a loro giudizio, avrebbe compiuto il «passo proverbiale». Assad si sarebbe convinto che «il vento rivoluzionario è inarrestabile», come ha martellato nel discorso. E questo, a loro avviso, è il vero motore del cambiamento. Resta che il messaggio non arriva alle piazze. Domani si vedrà la portata delle proteste.
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