Armi ai ribelli, cresce il fronte del sì alla Nato il comando dell’intervento

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BRUXELLES – Gheddafi ripassa al contrattacco, pur registrando le prime grosse defezioni. E la coalizione, che da ieri ha ceduto ufficialmente alla Nato il comando delle operazioni militari in Libia, non sa come fare a vincere la guerra senza poter mandare truppe sul terreno. L’ipotesi di fornire armi agli insorti, che ieri di fronte all’avanzata delle truppe del Colonnello hanno chiesto con urgenza rifornimenti di materiale bellico, comincia a farsi strada, almeno tra i “falchi”. Ma si scontra con forti perplessità  politiche tra gli alleati, e con i limiti espliciti della risoluzione Onu. I primi a ventilare l’ipotesi di fornire armi al Consiglio di Transizione sono stati, già  martedì alla Conferenza di Londra, i francesi, che sono anche gli unici ad avere finora ufficialmente riconosciuto l’organismo di coordinamento degli insorti. Ma ci stanno pensando seriamente anche gli americani, forse i più ansiosi di tutti che la crisi libica arrivi ad una soluzione rapida. Tanto che Obama – si è appreso ieri – ha firmato nei giorni scorsi un ordine esecutivo che autorizza operazioni sotto copertura della Cia per aiutare i ribelli. Hillary Clinton si è spinta a dire che la risoluzione 1973 delle Nazioni Unite «potrebbe consentire di fornire legittimamente armi agli insorti». Ieri infine è stata la volta del premier britannico Cameron, secondo cui «nulla è escluso», per quanto riguarda l’assistenza militare. Ma l’ipotesi si scontra con una serie di forti opposizioni. Prima tra tutte quella del segretario generale della Nato, Rasmussen, secondo cui «l’Alleanza è impegnata in Libia per proteggere la popolazione, e non per armarla». Anche Belgio, Danimarca e Norvegia, tutti Paesi che partecipano alle azioni aeree, hanno espresso la loro contrarietà  all’ipotesi. Secondo il governo italiano «si tratta di una soluzione estrema, e non è detto che sia una buona idea». La Russia, per bocca del ministro Lavrov, ha confermato la propria opposizione. E anche dalla Cina, che con la Russia si era astenuta sulla risoluzione 1973, è arrivato un avvertimento alla coalizione. Ricevendo a Pechino il presidente francese Sarkozy, il leader cinese Hu Jintao ha ammonito che «se le azioni militari colpiscono popolazioni innocenti e provocano gravi crisi umanitarie, allora violano il mandato originale del Consiglio di sicurezza dell’Onu». La difficoltà  che la coalizione si trova ad affrontare nasce anche dal fatto che la risoluzione Onu parla della necessità  di proteggere i civili, mentre la conferenza di Londra appena conclusasi ha detto chiaramente che uno degli obiettivi è la cacciata di Gheddafi. L’ipotesi dell’esilio viene sempre più chiaramente presa in considerazione. Il governo dell’Uganda ha già  fatto sapere che sarebbe disposto ad esaminare favorevolmente una richiesta di asilo da parte del dittatore libico, mentre il Venezuela di Chavez ha per il momento chiuso la porta dicendo che la questione non è all’ordine del giorno. Ieri intanto si è consumata una importante defezione ai vertici del regime libico: il ministro degli Esteri di Tripoli, Mussa Kussa, è partito improvvisamente per Londra: una volta atterrato, ha annunciato di non essere più disposto a rappresentare Gheddafi. È il primo segnale di sgretolamento dell’entourage del Colonnello: una ipotesi su cui la Coalizione ha puntato molte delle sue speranze Ieri, infine, la Nato ha assunto il pieno comando delle operazioni militari. La transizione dovrebbe essere completata entro oggi. Si apre ora la questione degli eventuali “caveat” che ciascun governo può presentare sulle modalità  di utilizzo delle forze messe a disposizione. Secondo il rappresentante italiano Riccardo Sessa, «noi facciamo operazioni di controllo ed intercettazioni che comprendono una vasta gamma di azioni».


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