“La marea nera come l’11 Settembre”

by Sergio Segio | 15 Giugno 2010 6:16

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THEODORE (Alabama) – Addio Orange Beach. Nella prima giornata del quarto blitz Barack Obama promette di «proteggere il Golfo per i nostri figli e nipoti nipoti» ma ammette che la macchia nera mette in gioco un intero “American way of life”: lo stile di vita seguito fin qui. Annuncia che la Bp ha risposto all’ultimatum e comincerà  a raccogliere 50mila barili già  dalla fine di giugno: due settimane prima del previsto. Ma l’ammiraglio Thad Allen chiarisce che nessuno sa quanto petrolio ancora fuoriesce. E mentre il presidente si aggira nell’area d’emergenza allestita soltanto un mese dopo il disastro, tra gli hangar del porto di Theodore dove hanno trovato rifugio decine e decine di pellicani incatramati, la costa dell’Alabama è già  perduta. Ottanta chilometri di sabbie bianche violentate da quell’intruglio marrone di petrolio e dispersanti. Puzza e orrore.

Obama insiste: «Tutti chiedono di aiutare e io vi dico: continuate a venire nel Missipppi. Ci sono ancora un sacco di spiagge non affette dal petrolio e che non lo saranno mai”. Ma dove? Addio “Sweet Home Alabama”: l'”Alabama dolce casa” dei Lynyrd Skynyrd. Eppure il presidente ribatte: il petrolio che arriva sulle spiagge è il problema minore perché “almeno qui è facile ripulire”, tant’è che alcuni comuni non hanno messo neppure in mare i boom, le timide boe protettive. «La nostra preoccupazione sono gli acquitrini, gli estuari, l’ecosistema». Fosse poco. «Non vi prometto che riusciremo a ripulire tutto dall’oggi al domani ma lo faremo». Come?
Il presidente è atterrato a Gulfport scortato dal consigliere per l’ambiente Carol Browner e da quel Jon Favreau che gli scrive i discorsi più difficili. Il pranzetto a base di gamberetti fritti e crab cake gli deve restare sullo stomaco: limonata per mandarlo giù. «Stiamo facendo di tutto per garantire che il cibo del Golfo è sicuro», dice Obama, che per l’occasione ha mosso anche gli agenti federali. In questi due giorni si sta giocando davvero la presidenza. Già  non è piaciuta l’intervista a Politico in cui paragona la marea nera all’11 settembre: i parenti delle vittime sono insorti. Come fa sbaglia. Nel suo viaggio ha inserito anche una tappa in battello: da Dauphin Island a Fort Morgan. Ma è vuoto il cielo sopra l’isola famosa per essere la sosta degli uccelli migratori. Tutt’intorno una chiazza di petrolio e dispersanti.
Le tv Usa hanno fatto armi e bagagli e trasmettono tutte dal Golfo. L’America è sotto shock. Al “Welcome Center” di Orange Beach la signorina dell’ente turismo piange. «Sabato Cotton Bayou era un inferno: pezzi di catrame così, l’acqua una patina d’olio. Cinque anni fa l’uragano Ivan portò morte e distruzione: però una volta passato è passato. Ma adesso?». Adesso questo stato che nell’immaginario riporta più ai cowboy che alle spiagge dei Caraibi sa che non rivedrà  più i 4 milioni e mezzo di turisti da due miliardi di dollari l’anno. Le previsioni per giugno sono dimezzate
«Lo so anch’io che può essere peggio di un uragano» dice il comandante in capo. Stasera al ritorno dalla Florida dovrà  spiegare in diretta tv come spera di fermarlo: gli esperti dubitano perfino sul funzionamento dei due pozzi che funzioneranno da agosto. Il presidente intimerà  alla Bp di allestire un fondo indipendente per pagare i danni. Quanto alto? Il Congresso pensa a 20 miliardi di dollari. Obama dice che dopo i primi colloqui è “confidente” ma ogni previsione è prematura. Intanto stasera potrebbe annunciare l’ennesima rivoluzione: vere e proprie limitazioni nell’uso di carbone e petrolio aumentandone il prezzo al consumo. Domani alla Casa Bianca sfilerà  il presidente della Bp Carl-Henric Svanberg che si porterà  dietro quel Ceo Tony Hayward criticatissimo. E in settimana anche il Congresso trivellerà  i manager. Ormai Bp è l’azienda più odiata d’America. Il Pier One del Gulf State Park mostra il record dell’Alabama: un pompano di quasi tre chili. Ma la pesca di Trish Cluck porta una data già  tragica: 28 aprile 2010. La Deepwater era esplosa otto giorni prima. Oggi la pesca è vietata sul molo che comunque tassa ancora due dollari quella passeggiata sopraelevata un chilometro sull’oceano marrone. Jim Mullis e la moglie Donna Summers (“Oh certo, sono io”, scherza) indossano due finte magliette Bp: lei con la scritta BeachesPolluters, inquinatori di spiagge, lui “Fuck Bp”, “Bp fottiti”. Jim è un veterano del Vietnam che da Atlanta, in pensione, ha deciso di venire a svernare qui. «E questi per i loro sporchi miliardi si stanno mangiando il nostro mare e i nostri risparmi». Anche lui ha una richiesta per il presidente che ha votato. “Fix it now”: sistema subito questo disastro. O il messaggio di quella maglietta varrà  anche per te.

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