Piccoli Saviano crescono. Nella Calabria delle cosche

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Nelle prime pagine è contenuto l’avvertimento: «Chi crede di trovare gesta epiche in Avamposto può cambiare lettura. Non ci sono eroi in queste pagine, solo giornalisti col vizio di chiamare le cose col loro nome, la cui unica colpa è quella di farlo a cento passi dai mammasantissima». Per dirla con Roberta Mani e Roberto Rossi, autori di “Avamposto, nella Calabria dei giornalisti infami” appena uscito per l’editore Marsilio, «ci aspettavamo di trovare personaggi mitici. Abbiamo incontrato persone normali». Sono le storie di sedici giornalisti che hanno subito minacce e intimidazioni nella terra in cui vivono e lavorano, la Calabria.
Cronisti di quotidiani locali, spesso giovanissimi e precari che raccontano la vita quotidiana di un luogo d’Italia dove fare informazione significa venire a contatto con la criminalità  organizzata o meglio con la ‘ndrangheta. I due autori sono a loro volta giornalisti, Rossi è di origine siciliana e Mani è nata a Milano, ed entrambi lavorano da anni nel capoluogo lombardo. Sono significative le parole che usano per accompagnare il lettore nelle prime pagine del libro: l’impatto con la stampa locale al loro arrivo a Lamezia Terme. «Prime pagine di fuoco – scrivono – omicidi, droga, intimidazioni, politica, economia. Per noi è stato come aver varcato i confini di uno stato». Dietro quelle pagine c’è il lavoro dei cronisti che gli autori hanno conosciuto personalmente e con cui sono stati a contatto mentre scrivevano il libro.
Tra di loro ci sono Angela Corica, la corrispondente per il quotidiano Calabria Ora da Cinquefrondi che è un paese in provincia di Reggio Calabria. Angela ha appena 25 anni e il giornalismo che le scorre nelle vene. Ha scritto che nel suo paese la raccolta differenziata era una finzione amministrativa che serviva a pagare qualche ditta e ad avere qualche sovvenzione ma in realtà  i rifiuti venivano dati alle fiamme nel luogo della raccolta. Per spiegarle che aveva toccato dei nervi scoperti hanno sparato cinque colpi alla sua macchina.
Michele Albanese ha invece 48 anni ed è un giornalista del Quotidiano della Calabria; scrive da trent’anni di quello che accade nella piana di Gioia Tauro. L’ultima volta che gli hanno dato del mpamu (infame in calabrese ndr) è stato il 28 gennaio, dopo la rivolta degli immigrati a Rosarno. «Ditegli di stare zitto, lui che è uno sbirro e amico dei carabinieri e della polizia. Quando parla o scrive di Rosarno si deve lavare la bocca se non vuole passare guai», queste erano le parole scritte su una lettera arrivata al giornale con una croce sul suo nome. La minaccia secondo gli inquirenti della Dda è attendibile. Con Michele e Angela ci sono altri quattordici cronisti, tutti accomunati da questi avvertimenti: lettere, proiettili, spari, punteruoli conficcati negli pneumatici, messaggi di morte. Un libro che è un viaggio nella parte più profonda di una terra malata ma che ha tanti anticorpi. Avamposto verrà  presentato sabato 19 giugno a Riccione durante la sedicesima edizione del premio Ilaria Alpi.


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