by Sergio Segio | 16 Giugno 2010 7:19
Durante la guerra nell’ex Jugoslavia degli anni ’90, l’allora capitano dell’esercito Carlo Calcagni veniva inviato in missione internazionale in Bosnia Erzegovina in qualità di pilota elicotterista, l’unico del primo contingente italiano. La base era a Sarajevo, e in quella regione martoriata dove si combattevano le diverse etnie che convivono nei Balcani il capitano pilota soccorreva feriti e recuperava salme di caduti, in missioni di guerra per oltre 50 ore di volo. Correva l’estate del 1996 e l’uso di munizionamento a uranio impoverito da parte degli eserciti in armi era pratica accettata e diffusa. Si decollava e si atterrava con gli elicotteri respirando polveri contaminate disperse sui campi di battaglia. Calcagni si ammala e nel 2002, ricoverato per accertamenti, scopre di essere contagiato da sostanze radioattive. Con referto medico dell’ospedale militare di Bari del marzo 2005 si certifica per la prima volta la patologia: «Nel 1996, operando in regioni belliche, il capitano Calcagni è stato esposto verosimilmente a uranio impoverito». La sua infermità , invalidante, è ritenuta dipendente da causa di servizio nell’ottobre 2007. Si tratta d’invalidità permanente riportata «per le particolari condizioni ambientali e operative di missioni fuori area», per cui viene riformato ottenendo il riconoscimento dello status di vittima del dovere. Vittima a tal punto che Carlo Calcagni, promosso nel frattempo maggiore, è dichiarato deceduto in data 30 ottobre 2007.
Maggiore Calcagni, quando le è stato comunicato il suo decesso?
Solo di recente. Nella graduatoria delle vittime del dovere, aggiornata dal ministero dell’interno, risultavo deceduto dal 30 ottobre 2007, data che corrisponde a quella in cui sono stato riformato. Questo credo sia dipeso da un banale errore da parte del ministero.
(Carlo Calcagni, nato a Guagnano nel leccese e oggi 42enne, lo troviamo degente a Londra presso il Breakspear hospital medical group per sottoporsi a cure e terapie salvavita. Le condizioni di salute sono precarie ed è in attesa di trapianto allogenico al midollo osseo. Dalla diagnosi dell’ospedale londinese appuriamo che il corpo dell’ufficiale italiano «ha riportato una massiccia contaminazione da uranio impoverito, da metalli pesanti, da nitrosamine e da benzoati, tutti ad alta tossicità dal punto di vista fisico-chimico e altamente cancerogeni, intaccandogli il suo Dna. I sintomi sono in relazione alle esplosioni ad elevata temperatura di ordigni bellici con uranio impoverito mentre svolgeva attività di pilota di elicottero dell’esercito italiano in Bosnia». Le cure cui si sottopone non sono trattate da strutture sanitarie in Italia, né sono rimborsate le spese dal servizio sanitario nazionale. Nel Breakspear hospital giunge per la prima volta agli inizi dell’anno. È tornato a giugno e vi rimarrà tutto il mese. Il programma terapeutico prevede per almeno tre anni un mese di ricovero in Inghilterra, ogni tre mesi).
Lei, Calcagni, avrebbe dovuto partecipare, prima di ricoverarsi qui a Londra, a una trasmissione televisiva di Canale 5, ma glielo hanno impedito. «Ero stato invitato alla trasmissione Mattino 5 come testimone ‘vivente’ del problema uranio impoverito. Presentavano il film in uscita a maggio ‘Le ultime 56 ore’ con Gian Marco Tognazzi che parla proprio dei gravi danni alla salute causati dalla contaminazione di uranio. Così ho chiesto all’ufficio preposto del ministero della difesa l’autorizzazione a partecipare in divisa alla trasmissione, ma… autorizzazione negata!.
Perché è soggetto a censura, da parte del ministero, se parla della sua malattia?
I testimoni, quelli che ci mettono la pelle in prima persona, sono sempre personaggi scomodi; specialmente quando non si vuole far conoscere la verità .
Non dovrebbe neppure rilasciare dichiarazioni alla stampa?
E cosa resterebbe di me, se domani dovessi morire anch’io? Fin quando respiro e sono in grado di parlare io racconterò la verità : è mio dovere di cittadino italiano, di uomo e di soldato nei confronti dei militari che non ci sono più.
Lei è stato riammesso in servizio presso la scuola di cavalleria di Lecce nel gennaio 2010, ma se è stato riformato con il 100% d’invalidità nel 2007 come può tornare a indossare l’uniforme?
Proprio perché riformato con la prima categoria per invalidità permanente dipendente da causa e fatti di servizio sono stato iscritto nel ruolo d’onore; questo mi ha permesso di produrre istanza di reimpiego nel ruolo d’onore, senza assegni, per mia espressa volontà di rendermi ancora utile alla forza armata e a quanti avessero bisogno della mia consulenza ‘gratuita’ riguardo alle pratiche di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio: vera e propria opera di volontariato. Così sono stato reimpiegato presso la scuola di cavalleria di Lecce dall’1 gennaio 2010.
Ha anche rischiato l’incriminazione per diserzione, perché ha cominciato a farsi curare a Londra.
Quando sono partito il 17 gennaio scorso per il ricovero in Inghilterra, dove sono in cura oggi per la seconda volta esclusivamente a mie spese, non avevo ottenuto l’autorizzazione dalla direzione generale della sanità militare del ministero della difesa. Ma poiché la salute è la mia, io sono partito comunque.
Il Breakspear hospital di Londra è l’unico per la sua malattia?
Di certo è uno dei pochi ospedali al mondo che tratta queste malattie.
Non ha percepito alcun risarcimento economico per i gravi danni che le hanno causato?
No, ancora no. Non voglio fare causa allo Stato che nel mio caso ha riconosciuto tutto, quindi non ho bisogno di dimostrare nulla; rimango in attesa di una transazione bonaria, come previsto dalla legge, evitando ulteriori e inutili spese sia per me che per il ministero. Il 10 maggio ho inviato una lettera al ministro della difesa Ignazio La Russa per raccontargli la mia storia. Ad oggi, nessuna risposta. La causa di servizio del capitano di fregata della marina Stefano Cappellaro, stroncato rapidamente da un male incurabile, non è stata riconosciuta. Come molti altri, è morto con la consapevolezza di essere stato dimenticato dal suo paese, ed è questa la pena più grande. L’iter procedurale per il riconoscimento sarebbe di urgenza, ma l’uranio è un argomento che scotta e affossa i tempi.
Non ci sono funerali di stato per i soldati morti da uranio…
Le vittime dell’uranio rientrano con le proprie gambe dalle aree di conflitto per poi soffrire in un silenzio assordante, mentre quelli sfortunati che saltano sulle bombe rimpatriano come eroi di guerra. A noi nessuno aveva mai detto che durante le missioni si potevano contrarre malattie mortali. Lo Stato però era a conoscenza del pericolo reale derivante da uranio impoverito fin dal 1978, quando gli americani ne testarono il pericolo letale e di questo informarono i vertici militari e politici italiani. I responsabili verranno mai perseguiti e puniti? I soldati invece continuano a morire.
Dall’associazione italiana vittime dell’uranio si rileva, ad inizio 2010, che i militari deceduti per possibile contaminazione da uranio impoverito si attestano intorno alle 220 unità . Un elenco della sanità militare invece ne conteggia poco più di 170, ma non contempla quei militari che al momento del trapasso erano già congedati. I malati, si stimano in circa 2500. Il 13 gennaio scorso l’onorevole Teresa Bellanova del Pd (deputata in commissione lavoro) aveva presentato al ministro della difesa un’interrogazione parlamentare per l’istituzione di una commissione sulle morti di militari a causa di uranio impoverito e sull’alta incidenza di neoplasie documentate per l’utilizzo di uranio. A tutt’oggi, la Bellanova è ancora in attesa di risposta.
Militari morti
e ammalati,
primato Puglia.
E le vittime civili?
Carlo Calcagni è solo uno dei diversi militari pugliesi che si sono ammalati di uranio impoveriti. La regione guidata da Nichi Vendola è al primo posto, insieme alla Sardegna, tra quelle con il più alto numero di contaminazioni, in totale alcune centinaia. Il primo morto fu il capitano di corvetta Crescenzo D’Alicandro, di Brindisi, reduce della Somalia. Ma ci fu anche il caporalmaggiore Alberto Di Raimondo, di Salice Salentino (Lecce). E salentino era anche Giorgio Parlangeli, reduce dal Kosovo. Di Martano (Lecce) era Andrea Antonaci, che lasciò il posto da geometra e morì nel 2000 da sergente. Questo i militari. E i civili delle zone bombardate?
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