I delfini che non piacciono

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TOKYO. Andate in una stazione giapponese e chiedete a un passante se ha mai mangiato carne di delfino. Quasi sicuramente vi risponderà  sbigottito che no, certamente non lo hai mai fatto e quasi sicuramente aggiungerà  che vi state sbagliando e che forse volevate dire carne di balena.
Questo almeno fino alla settimana scorsa perché con tutto il polverone massmediatico che il documentario premiato con l’Oscar The Cove sta sollevando, ormai la cittadina «infernale» di Taiji è sulla bocca di tutti. È proprio qui che si svolge infatti l’annuale mattanza dei delfini documentata da Louie Psihoyos nel suo lavoro con esiti e metodi discutibilissimi come è stato ribadito su interessanti discussioni on-line (ad esempio, il blog del giornalista Jason Gray) e da molti esperti nel settore dell’arte documentaria.
Ma lo scandalo che riempie le pagine dei quotidiani nipponici in questi giorni non è tanto la riuscita artistica del documentario quanto il fatto che su fortissime pressioni da parte di gruppi di estrema destra, tre cinema della capitale hanno deciso di cancellare le proiezioni. Così anche gli altri 23 teatri che avevano in cartellone il film, stanno seriamente valutando se continuare nel loro proposito o meno.
È stato triste constatare come delle «semplici» telefonate intimidatorie da parte di gruppi ultranazionalisti che minacciavano di portare davanti ai teatri i famigerati furgoni neri con tanto di megafoni assordanti, hanno impaurito i proprietari dei teatri timorosi di creare scompiglio e disturbo nei relativi quartieri. Ciò che qui è in gioco, come del resto nella nostra penisola, è la libertà  di informare e a essere informati. Le ragioni di questa destra sono naturalmente ridicole: senza prima aver visto il documentario, molti si sono lanciati in condanne preventive verso lo straniero, sempre pronto a infangare e sporcare l’immagine del Giappone, secondo loro.
A queste dichiarazioni si sono subito mobilitati molti artisti fra cui anche alcuni registi, ricordiamo almeno Hirokazu Kore’eda e Kazuhiro Soda che, pur criticando anche aspramente il film, si stanno battendo con una raccolta di firme affinché questo venga proiettato normalmente. Il loro esempio ci sia da guida. Come sempre in questi casi bisogna andarci cauti e non cadere preda di facili manicheismi: alcuni spot visti su internet in difesa dei delfini e recitati da fior fiori di attori appaiono francamente fuori luogo e portatori di una così acuta retorica da essere controproducenti.
La situazione che si è andata via via creando è assai simile a quella che che si ebbe, due anni or sono, in occasione della proiezione del film Yasukuni, il santuario della vergogna a Tokyo dove ancora oggi vengono onorati i criminali di guerra. La situazione ha preso una piega positiva lo scorso mercoledì 9 giugno quando una proiezione speciale di The Cove è stata organizzata in una sala pubblica nella capitale giapponese con più di seicento persone che, pazientemente, hanno fatto la fila per assistere al documentario incriminato, inclusi alcuni membri dei famigerati nazionalisti. La cosa sorprendente è, almeno stando a ciò che riportano i giornali locali, che uno dei leader di codesti gruppi si è manifestatamene dichiarato a favore della proiezione del film. Sarà  da vedere se alle parole seguiranno i fatti e The Cove riuscirà  a trovare lo spazio nei teatri giapponesi.


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