Epifani: la Fiat ci ripensi la fabbrica non è una caserma

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ROMA – «Marchionne ci ripensi: non contrapponga lavoro a diritti. Pomigliano non può diventare una fabbrica-caserma. E il “piano B” sarebbe anche una sua sconfitta». Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, parla mentre, a qualche chilometro di distanza, è in corso il Comitato centrale della Fiom sul caso-Pomigliano. Sa già  come andrà  a finire: no alla proposta della Fiat.

Lei condivide la posizione della Fiom?
«Io dico ciò che chiede la Cgil: che si realizzi rapidamente l’investimento previsto per lo stabilimento di Pomigliano. Questo è il frutto di anni di mobilitazione nel territorio da parte dei sindacati, della Cgil, della Chiesa, delle istituzioni locali. A Napoli non c’è alternativa. Stiamo parlando di 15 mila posti di lavoro, compresi quelli dell’indotto. Un piano di queste dimensioni impone una sfida che sicuramente deve essere raccolta: quella della saturazione degli impianti e della turnazione. Su questo non dobbiamo avere timidezze. I 18 turni non sono una novità . In molte fabbriche si lavora 24 ore su 24 per sette giorni. Sappiamo che sarà  un sacrificio alto per i lavoratori, perché non è facile lavorare il sabato e la domenica di notte, perché non è la stessa cosa lavorare alla catena di montaggio o stare seduti davanti a una scrivania».
Sta ragionando come se il no della Fiom fosse ininfluente. Le ricordo che Marchionne ha posto come condizione l’accordo di tutti i sindacati senza escludere di poter mantenere la produzione della Panda in Polonia.
«C’è un capitolo del documento della Fiat che apre problemi molto gravi. Riguarda la malattia e lo sciopero. Abbiamo consultato insigni giuristi e ci dicono che, senza chiarimenti e correzioni, quelle clausole appaiono illegittime o addirittura incostituzionali. Mi domando: si può sottoscrivere un accordo con questi profili di illegittimità ? Questo è il punto. Conviene alla Fiat che chiede certezze uno scenario di questo tipo?».
Lei pensa che la Fiat, la Cisl e la Uil possano firmare un accordo addirittura incostituzionale? Le sembra possibile? Non sarà  la vostra una forzatura interpretativa?
«Per quanto mi risulta anche i metalmeccanici di Cisl e Uil avevano sollevato i nostri stessi argomenti. Poi ha prevalso lo spirito di chiudere. Ma c’è il rischio di un fiorire di iniziative giudiziarie, se non vengono chiariti quegli aspetti, perché la nostre preoccupazioni sono molto fondate. Al primo ricorso quel piano non regge. Per questo chiedo a Marchionne un ripensamento».
La Cgil sostiene che una firma su un accordo del genere sarebbe “invalida, inefficace e inesistente”. Se è così perché intanto non la mettete?
«Rovesciamo il problema: a cosa servirebbe un sì in questo modo? A nulla. La Fiat non deve piegare i sindacati ma trovare un piano che regga. La Cgil è assolutamente disponibile a trovare soluzioni per un assenteismo che a tratti ha assunto a Pomigliano caratteristiche intollerabili. Siamo pronti e abbiamo anche le nostre proposte».
Quali?
«Ne parleremo».
Esclude che Marchionne possa applicare il “piano B” e non spostare la produzione della Panda a Pomigliano?
«Penso che alla fine possa prevalere in Marchionne il senso della forza dell’operazione Pomigliano. Ha scommesso troppo sulla Fabbrica Italia. Il “piano B” sarebbe anche una sua sconfitta. Gli chiedo di non attuarlo, ma so che il “piano B” è concretamente nelle sue mani».
Lei ha fatto tutto per arrivare a un’intesa? Possibile che la Cgil scopra i problemi sempre poco prima della firma?
«Non è così. Stiamo rincorrendo centinaia di vertenze in tutta Italia. In questo caso, mi dispiace, è mancato il rapporto tra la Cgil e la Fiom nella costruzione della soluzione».
La colpa è della Fiom?
«È un dato di fatto perché questa vicenda ha ricadute su vari settori, non solo sui lavoratori metalmeccanici».
La Fiom ha parlato di “ricatto” da parte di Marchionne. Lei userebbe la stessa parola?
«Se si intende dire che la Fiat ha tirato troppo la corda, c’è una parte di verità . L’intera verità  è che la Fiat ha integralmente la possibilità  di decidere. È una situazione inedita nella quale il Lingotto ragiona come una multinazionale che non ha più nulla da chiedere al governo italiano».
Se ci sarà  il referendum è scontata la vittoria del sì. A quel punto la Fiom dovrà  firmare?
«Deciderà  la Fiom. È giusto che i lavoratori comunque dicano la loro. La Fiom deve potere dire sì o no, può chiedere il giudizio dei lavoratori, ma non può scaricare tutte le responsabilità  su quest’ultimi».


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