Certificati verdi, la scure di Tremonti a rischio 7,3 miliardi di investimenti

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ROMA – Funzionava troppo bene. Non manca l’ironia tra i produttori di energia, di fronte alla decisione del ministro dell’Economia Giulio Tremonti di smantellare il meccanismo dei “certificati verdi”. L’incentivazione delle centrali eoliche, idroelettriche, geotermiche e da biomasse in dieci anni ha prodotto ottimi risultati: 4,5 miliardi d’investimenti realizzati, 2,8 miliardi quelli in programma. Si è raddoppiata in un decennio la quota di energia rinnovabile sul totale di quella consumata. Felici gli imprenditori, felici i Comuni che ormai incassano dagli impianti di energia rinnovabile 200 milioni l’anno. E invece…

La rivoluzione di Tremonti è contenuta nell’articolo 45 del decreto manovra. Il Gestore servizi elettrici (Gse) non è più tenuto a comprare i “certificati verdi” rimasti invenduti, obbligo introdotto nel 2008.
Ma come funziona il meccanismo smantellato? I “certificati verdi” sono titoli assegnati a chi produce elettricità  da una fonte rinnovabile. I produttori che non riescono a raggiungere la quota minima imposta ogni anno (siamo al 5,3% e crescerà  dello 0,75% l’anno per i prossimi tre anni) devono comprare certificati dai produttori più virtuosi.
Il crollo dei consumi elettrici, prodotto dalla recessione, ha fatto contrarre la domanda di questi titoli. L’offerta nel 2010, ad esempio, sarà  doppia rispetto alle necessità  degli operatori. Lasciato a se stesso, il mercato si sarebbe bloccato per anni. A quel punto, fin dal 2008, il governo ha imposto al Gse di comprare i “certificati verdi” invenduti ad un prezzo prestabilito (il che ha mantenuto alto anche il prezzo sul mercato libero). L’esborso, secondo gli operatori e Confindustria, è stato più che compensato dall’occupazione prodotta (25 mila posti) e dagli investimenti generati. Senza contare che mancare l’obiettivo impostoci al 2020 (17% di energia primaria da fonti “verdi”, vale a dire il 30% dell’elettricità  consumata) ci costerebbe molto di più. Proprio ieri i ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente, pubblicando il piano sulle rinnovabili al 2020, hanno certificato che il meccanismo degli incentivi ci ha permesso di essere in linea (finora) con gli obiettivi europei.
Non sembra curarsene il ministero dell’Economia che ha liberato il Gse dall’obbligo di acquisto, gettando nel panico i produttori e le banche che li hanno finanziati. Oltre al danno per il settore elettrico, si profila la beffa per i consumatori. Visto che il Gse si finanzia con una specifica voce della bolletta elettrica (componente A3), in teoria ben 500 milioni di mancati incentivi dovrebbero alleggerire il conto dei consumatori, ma neanche questo è certo. Una parte dei certificati, fino al marzo 2010, dovrebbe essere comunque pagata. Ma soprattutto quei risparmi dovrebbero finire direttamente nelle casse dello Stato.
L’articolo 45 sarà  uno dei più discussi al momento della conversione: il Pd ne chiede lo stralcio; Confindustria, Abi e le associazioni di settore propongono una rimodulazione. Se l’obbligo di riacquisto del Gse non potrà  essere mantenuto, si potrebbe quantomeno allungare da tre a 5 anni la validità  dei certificati o aumentare la quota annuale obbligatoria di elettricità  verde. Il sottosegretario allo Sviluppo economico Saglia lavora a una mediazione: mantenere l’obbligo fino a fine anno in linea con le direttive europee. Tremonti permettendo.


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