Welfare e lavoro, “l’Italia è allo stremo”. Il rapporto sui diritti globali

Welfare e lavoro, “l’Italia è allo stremo”. Il rapporto sui diritti globali

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Lunedà­ 24.05.2010 12:10

Povertà , famiglia, lavoro. Sono tanti i dati contenuti nell’ottava edizione del “Rapporto sui diritti globali 2010”, che l’Associazione Società  InFormazione ha prodotto in collaborazione con Cgil, Arci, ActionAid, Antigone, Cnca, Fondazione Basso, Forum ambientalista, Gruppo Abele e Legambiente. Dal corposo volume di oltre mille pagine – pubblicato da Edizioni Ediesse – emerge un quadro allarmante sullo stato di salute del welfare nel nostro paese. Di seguito alcuni dei dati più significativi estratti dal rapporto.

Crisi

 

IL RAPPORTO

Famiglie sull’orlo della crisi. Che la famiglia è in crisi non è un’affermazione retorica: secondo i dati presentati nel Rapporto sui diritti globali, nel 2008 aumentano non solo i nuclei familiari che non riescono ad assicurarsi neppure i beni di prima necessità , ma anche quelli che arrivano con difficoltà  alla fine del mese. Le famiglie in condizioni di povertà  relativa sono 2 milioni 737 mila (oltre l’11% del totale) e 1,8 milioni quelle che hanno serie difficoltà  a causa del mutuo per la casa.

Lavorare non basta. Avere un lavoro non protegge dall’impoverimento, e anche nel nostro paese si è ormai tristemente affermata la realtà  dei cosiddetti working poor: quelle persone che, pur lavorando, restano in condizione di povertà  relativa e, in qualche caso, anche di povertà  assoluta. Per rendere l’idea, basti pensare che il 15% delle famiglie assolutamente povere ha un capofamiglia occupato.

Bambini poveri. I più poveri di tutti sono però i minori, un dato su cui le politiche sociali nel nostro paese non riescono a incidere. La percentuale di famiglie povere con figli al di sotto dei 18 anni equivale a oltre il 27% del totale, cifra che nel Mezzogiorno sale al 38,8%. L’Italia è maglia nera in Europa per la povertà  minorile: per un rischio povertà  dei minori che a livello Ue a 27 si attesta al 20% il nostro Paese è al 25%, superato solo da Bulgaria e Romania, e siamo comunque gli ultimi della Ue a 15.

Migranti a doppio rischio. Nel 2008 le rimesse degli immigrati verso i paesi di origine diminuiscono del 10% con un invio mensile medio di 155 euro a fronte dei 171 del 2007. Inoltre, nonostante il lavoro dei migranti rappresenti oltre il 9% del Pil, i lavoratori stranieri sono i primi a essere licenziati.

Un popolo di senza tetto. In Italia si stimano tra i 65 mila e i 120 mila adulti che non hanno una casa. Sono in strada in media da 4,5 anni, nei dormitori da oltre 3,2 anni, nelle aree dismesse da più di 8 anni. L’affitto incide sui redditi di pensionati e lavoratori dipendenti tra il 30 e il 70% e il 2008 ha visto un 18,6% in più di sfratti esecutivi rispetto all’anno precedente. Negli ultimi cinque anni, infine, 100 mila famiglie hanno perso la casa per morosità .

Le misure antipovertà ? Un fallimento. Le misure antipovertà  varate dal governo hanno dato risultati minimi o nulli. La social card arriva solo al 18% delle famiglie colpite dalla povertà  assoluta, mentre l’abolizione dell’Ici sulla prima casa è andata a vantaggio esclusivo della fascia più ricca: solo il 4% va al 10% degli italiani più poveri. Quanto alla spesa sociale, infine, l’Italia presenta una spesa assistenziale pari al 2,6% del Pil, contro una media europea del 5,1%.

Libro bianco: un modello da rifiutare. Il Rapporto contiene anche un intransigente rifiuto del “Libro bianco sul futuro del modello sociale. La vita buona nella società  attiva”, emanato dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. Il documento viene definito come “una uscita dal vecchio modello europeo e un ingresso in un nuovo modello di tipo privatistico-corporativo”.

Non autosufficienza e anziani. In Italia gli anziani non se la passano bene. Le pensioni restano al palo: nel periodo 1995-2008, l’aumento nominale si attesta sul 35-37%, ma quello reale – calcolato al netto dell’inflazione – oscilla tra lo 0,6 e il 2,2%. Nel frattempo l’andamento dei prezzi dei beni di base che compongono il paniere dei pensionati registra un incremento del 18%. Nessuna legge è arrivata a colmare i vuoti sulla non autosufficienza e, dopo infinite negoziazioni, è arrivato un assai risicato Fondo di 400 milioni di euro.

Salute mentale: “slegare i matti” è possibile. La 180 è una legge che non solo va difesa dall’attacco che sta subendo in Parlamento a opera di alcuni disegni di legge del centro destra che “ne minano lo spirito e la lettera”, ma va anche applicata meglio. Molti sono i passi avanti fatti in questi anni: per esempio, il 15% dei servizi psichiatrici di diagnosi e cura è a porte aperte e non usa la contenzione. “Pochi ancora – si legge nel Rapporto – ma vuol dire che si può”. Inoltre il movimento dei “Club Spdc aperti no restraint”, nato nel 2006 per iniziativa soprattutto di infermieri, sta portando un altro 15% di reparti su questa strada.

L’industria del sociale. In Italia sono 10 mila le imprese sociali, di cui 7.300 cooperative sociali e oltre 2.600 tra fondazioni e altre organizzazioni non profit. Le cooperative sociali, cresciute del 33,5% dal 2001 a oggi, impiegano 244 mila lavoratori (di cui 30 mila lavoratori svantaggiati) e 34 mila volontari, per un volume di affari di 6,4 miliardi di euro e oltre 3,3 milioni di cittadini destinatari. Oltre il 50% della spesa dei Comuni per l’assistenza viene impiegato per affidare la gestione di interventi e servizi sociali alle associazioni e le imprese sociali.

 

L’ANALISI DEL CURATORE

“Passata la paura, tutto è tornato come prima: banche e holding finanziarie e assicurative a macinare profitti, lavoratori a tirare la cinghia”. Non sono parole di incoraggiamento quelle spese da Sergio Segio per introdurre l’ottavo “Rapporto sui diritti globali 2010” promosso dall’Associazione Società  InFormazione, di cui lo stesso Segio è presidente, insieme a Cgil, Arci, Action Aid, Antigone, Cnca, Fondazione Basso, Forum Ambientalista, Gruppo Abele e Legambiente. Il quadro tracciato da Segio è drammatico: lo stato di salute dei diritti in Italia e nel mondo è allarmante. Il pianeta è incapace di sostenere ancora a lungo lo stile di vita e di consumi che i paesi ricchi praticano da tempo e che quelli in via di sviluppo tendono ad imitare. A pagare gli effetti delle crisi sono invece i lavoratori di tutti i paesi e le aree più deboli del mondo globalizzato, mentre aiuti massicci sono stati indirizzati dai governi – in primis da quello statunitense –verso quegli stessi sistemi finanziari responsabili di “un crac che ha bruciato come fossero foglie secche 50 trilioni di dollari”. Come se non bastasse, la Banca mondiale stima che entro 2015 moriranno dai 200 mila ai 400 mila bambini in più all’anno per malnutrizione e aggravamento dei problemi sanitari connessi. E ancora: nel 2009 le stime dell’Organizzazione internazionale del lavoro parlavano di 34 milioni i nuovi disoccupati rispetto al 2007 per un totale, che la rete del Social watch considera fortemente approssimata per difetto, di 212 milioni di persone prive di occupazione.

Le cose non vanno certo meglio nel nostro paese dove, scrive Segio, “il pervicace azzeramento dei diritti sociali e lavorativi conquistati negli anni Settanta da lavoratori, studenti e cittadini è stato nobilitato quale nuovo riformismo”. Così mentre “la crisi brucia utili e ricchezza, impoverendo il convento, i frati sono sempre più pasciuti”. Fuor di metafora – spiega il curatore del rapporto – nel 2009 le 270 società  quotate a piazza Affari hanno conseguito un utile aggregato di 20 miliardi di euro, contro i 33 miliardi del 2008 e i 55 del 2007. Eppure, nonostante le perdite, “i manager hanno portato a casa stipendi e bonus milionari”. Nel frattempo i lavoratori perdono il proprio posto di lavoro. “Secondo l’Istat – ricorda Segio – tra il quarto trimestre del 2008 e il quarto trimestre del 2009 si sono persi 428mila posti di lavoro, di cui 253 mila di lavoratori dipendenti e 175 mila di autonomi”. Mentre un’elaborazione del Censis rileva come, nei primi nove mesi del 2009, abbiano chiuso ben 300 mila imprese, di cui oltre 30 mila nel solo settore manifatturiero. Sullo sfondo una politica ormai priva di qualsiasi dimensione progettuale e “ridotta a mero strumento di affermazione di interessi leciti e, sempre più spesso, illeciti”. Da parte della destra, attualmente al governo, aggiunge il curatore del Rapporto, “si esprime un disegno organico e una cultura coerente” che vede “il lavoratore quale singolo individuo che vende all’impresa il proprio tempo di lavoro e le proprie abilità  e competenze sulla base di un libero accordo tra sé e il datore di lavoro”. Un disegno, quest’ultimo, che Segio considera figlio di una cultura ormai “diventata dominante e che ha come suo eminente valore, appunto, l’individualismo”.

Ma l’Italia viene definita anche come il paese in cui alla bulimia delle merci corrisponde l’anoressia dei diritti. Diritti umani che quando si parla di migranti diventano diritti globali. E da noi la condizione dei migranti “ci parla di un grado zero dei diritti”. Quello stesso grado di assenza di diritti “che abbiamo visto in opera a Rosarno”, commenta Segio, definendo i tristi fatti avvenuti nella cittadina calabrese come “una ferita che costituisce un discrimine, un punto di separazione tra il prima e il dopo”. Tuttavia, avverte il coordinatore del Rapporto, la persona immigrata rimane spesso prigioniera di una visione che ne percepisce solo l’identità  di lavoratore, se non addirittura di “braccia”. “Mentre la vera questione in campo – precisa – è quella del migrante come cittadino globale, portatore di diritti globali, che prescindono dalla collocazione, dall’identità  e dall’utilità  economica, essendo che i nuovi diritti umani sono quelli che coinvolgono il cittadino mondiale ai tempi del biocapitalismo e del biopotere”.


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