L’Istat: continua il crollo dei fondi per la scuola

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Che fosse una “cenerentola” si sapeva, ma la spesa in percentuale del Pil è in costante diminuzione. E Fioroni porta la questione al tavolo del governo

di SALVO INTRAVAIA

Sempre meno quote di investimenti, negli ultimi anni, per scuola e università italiane. Stando ai numeri, il settore dell’Istruzione non sembra proprio uno di quelli privilegiati dalla nostra politica. A confermarlo sono gli ultimi dati dell’Istat sulla spesa delle amministrazioni pubbliche suddivise per funzione. Numeri che questa mattina hanno fatto drizzare le orecchie al ministro della Pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni, che conta di portare i dati al Consiglio dei ministri.

Dal 1990 al 2005, essendo cresciuta la ricchezza del paese, in termini assoluti gli investimenti sono aumentati ma in termini percentuali la scuola e l’università ricevono sempre meno. Negli ultimi 15 anni, i diversi governi che si sono avvicendati hanno destinato un numero crescente di risorse, sempre in percentuale, anche alle ‘Attività ricreative, culturali e di culto’ così come alla Sanità, alla Difesa e alla Protezione sociale. Il comparto dell’Istruzione, assieme a quello dell’Ordine pubblico e sicurezza è uno dei pochi che ha visto decrescere gli investimenti.
Cittadini sempre meno sicuri e preparati? A prima vista sembrerebbe di sì. E le statistiche che raffrontano la preparazione dei nostri giovani con quella dei compagni europei sembrerebbero dare ragione a questa tendenza, con livelli di preparazione della popolazione che viaggiano abraccetto con gli investimenti. Non sarà un caso se i paesi in via di sviluppo (Cina e paesi del sud America compresi) hanno dato impulso agli investimenti sull’istruzione per recuperare posizione nello scacchiere economico mondiale.


Basta lasciare spazio ai numeri per comprendere le politiche degli investimenti nazionali degli ultimi anni. In Italia, la quota di spesa complessiva – al netto degli interessi pagati – delle amministrazioni pubbliche nel Belpaese è scesa dal 12,6 del ’90 al 10,6 del 2005. E’ il frutto di una costante politica di tagli, particolarmente spinta negli ultimi 5 anni, su scuola e università. Se la spesa per l’istruzione fosse rimasta inalterata le casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più.

Per scuole che in questi giorni non sanno come pagare i supplenti e comprare i detersivi e università costrette a stringere la cinghia rappresenterebbero una vera e propria manna dal cielo. Il trend non cambia se si prende in considerazione la quota di Pil (la ricchezza prodotta da tutte le attività del Paese) reinvestita nella scuola e nell’università: un dato che figura fra quelli che l’Ocse utilizza ogni anno per fare la radiografia dei sistemi di formazione dei paesi membri. In termini di Pil (il Prodotto interno lordo) – sempre al netto delle spese per gli interessi – nel 2005 l’Italia era al 4,7 per cento contro il 5,5 di quindici anni prima.

Investimenti che si discostano in maniera vistosa dalla media dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e Finlandia che viaggiano sul 6 per cento.

(Repubblica.it, 5 marzo 2007)

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