«Darfur: Sudan ha orchestrato il genocidio»

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Rapporto dell’Onu: «Il governo del Sudan ha orchestrato e partecipato ai crimini di massa»

(Corriere della sera, 14 marzo 2007)

Ma la Cina si oppone ancora all’invio dei caschi blu nella regione

Massimo A. Alberizzi

PORT HARCOURT (NIGERIA) – Il rapporto del gruppo speciale delle Nazioni Unite per investigare le condizioni dei diritti umani in Darfur, reso pubblico ieri a Ginevra, è durissimo: “Il governo del Sudan – c’è scritto con una terminologia tutt’altro che diplomatica, inusuale per l’organizzazione internazionale – ha orchestrato e partecipato” ai crimini di massa che comprendono omicidi, stupri generalizzati e rapimenti.

Alcuni sfollati dal Darfur (Ap)
Alcuni sfollati dal Darfur (Ap)
Ma il documento è duro anche con la comunità internazionale, il cui comportamento davanti alla tragedia viene definito “patetico”, alla quale viene chiesto agire immediatamente per fermare la carneficina in atto. Si calcola che nella provincia occidentale del Sudan siano stati ammazzati finora almeno 200 mila civili, mentre 2 milioni hanno lasciato le loro case e sono scappati nel campi di rifugiati (in Ciad) o di sfollati. Quattro milioni di persone poi, secondo le agenzie dell’ONU soffrono a fame e vivono in condizioni disperate. Il team di cinque membri, guidato dal premio Nobel per la pace, riconosciutole per il suo impegno nella campagna della messa al bando delle mine, Jody Williams, è stato bloccato nelle sua investigazione dal governo del Sundan, che non ha mai dato loro i permessi per entrare in Darfur. Gran parte del lavoro è stato fatto in Ciad, per altro ormai anch’esso investito dalla guerra, dove invece il gruppo è entrato nei campi dei rifugiati e ha parlato con chi ci vive, raccogliendo testimonianze e racconti raccapriccianti che parlano “di gigantesche e sistematiche violazioni dei diritti umani e gravi strappi alla legge internazionale”.
“Il governo – c’è scritto nel rapporto ed è stato sottolineato da Jody Williams – è complice in questi crimini per aver armato e addestrato le milizie janjaweed”. I janhjaweed sono gli scherani del regime arabo del nord che dal 2003 hanno lanciato campagne di terrore contro la popolazione civile di origine africana: bruciano i loro villaggi, uccidono gli uomini, violentano le donne e le bambine e rapiscono i ragazzini che vengono arruolati a forza. Gli attacchi dei “diavoli a cavallo” (questo vuol dire janjaweed, perché all’inizio della loro campagna di terrore arrivavano al galoppo mentre ora si servono di più confortevoli e veloci 4 x 4, secondo le accuse, fornite dal governo) sono sostenuti dal cielo da massicci bombardamenti aerei. Le denunce non sono nuove e giungono dopo che altre organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno lanciato il loro grido d’allarme.
Il governo di Khartoum ha sempre sostenuto che le cifre dei morti e degli sfollati sono “decisamente esagerate” e la situazione, come descritta dai media occidentali, non risponde alla realtà. Sempre secondo i leader sudanesi, comunque, negli ultimi mesi è molto migliorata. Al contrario tutti i rapporti parlano di un peggioramento notevole e di una precisa volontà di pulizia etnica e sterminio. La terribile tragedia del Darfur mette a nudo l’incapacità della comunità internazionale di reagire e trovare un sistema per proteggere la popolazione civile. Già nel settembre 2004 l’allora segretario dell’ONU, Koffi Annan aveva denunciato crimini e massacri e, pochi giorni dopo, il Segretario di Stato americano in carica Powel Colin, aveva addirittura parlato di genocidio in corso. Ed esattamente due anni dopo sempre Koffi Annan aveva ancora esortato, senza successo, ad agire.

Da più parti da un paio d’anni viene invocato l’invio di un contingente di caschi blu, ma il Sudan, spalleggiato dal suo alleato in Consiglio di Sicurezza, la Cina, ha sempre negato il suo permesso, sostenendo che “la situazione è sotto controllo”. Eppure tutti i grandi leader mondiali e lo stesso Koffi Annan nell’aprile 2004 in occasione del decennale del genocidio in Ruanda (un milione di morti) avevano solennemente dichiarato: “Mai più un altro genocidio”. “Le parole senza azioni fanno solo ironia”, ha dichiarato ieri Jody Williams. A fine febbraio la Corte Penale Internazionale ha messo sotto accusa per crimini contro l’umanità il ministro sudanese per gli affari umanitari Ahmed Mohammed Haroun, e uno dei leader dei janjaweed, Janjaweed Ali Muhammad Ali Abd al-Rahman, più conosciuto come Ali Kushayb. Il procuratore del tribunale, Luois Moreno-Ocampo, ha sciorinato ben 51 capi d’ accusa, compresi omicidi di massa, stupri e torture, ma il governo non ha fatto una piega, anche se per via ufficiosa qualcuno ha fatto sapere che i due non sarebbero mai stati consegnati alla Corte dell’Aja.

Esam Elhag, portavoce dell’SLA (Sudan Liberation Movement), al telefono con il Corriere non ha nascosto la sua soddisfazione per il documento: “Finalmente ci aspettiamo una reazione delle Nazioni Unite – ha detto -. Dovrebbero immediatamente dichiarare il Darfur ‘No fly zone’, cioè vietare il suo cielo a qualunque volo, così da impedire agli aerei governativi di bombardare i nostri villaggi. E poi forzare l’invio di un contingente dell’Onu”. Proprio ieri l’Unione Africana ha auspicato che nella provincia devastata dai massacri e dalle atrocità, vengano inviati almeno 22 mila caschi blu.

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