Bossi-Fini: la riforma è quasi pronta, ma è scontro sui centri
La nuova legge doveva essere presentata entro febbraio. Rimane nel cassetto perché non c’è accordo tra i ministi Amato e Ferrero sulla sorte dei centri di permanenza
(il manifesto, 3 marzo 2007)
Cinzia Gubbini
Lo dice ormai con insistenza: «Su questo punto, non c’è ancora accordo». Il ministro della Solidarietà Paolo Ferrero, contrariamente ai suoi costumi sempre molto collaborativi con il collega ministro dell’Interno Giuliano Amato, da qualche giorno non nega che sulla legge delega di riforma della Bossi-Fini la quadra non è stata trovata. E il problema sono i centri di permanenza temporanea.
Per il resto, la bozza è pronta. Anzi, doveva essere portata al consiglio dei ministri alla fine febbraio, come annunciarono Ferrero e Amato all’inizio del mese scorso incontrando le associazioni antirazziste. Ma, a quel tempo, la parte riguardante i cpt era ancora in bianco. Si attendeva la relazione della Commissione guidata dall’ambasciatore Staffan De Mistura, che aveva avuto l’incarico dal Viminale di ispezionare tutti i cpt e «presentare proposte».
La presentazione della relazione, forse non a caso, avvenne proprio il giorno seguente l’assemblea pubblica con i due ministri. Da allora è iniziata la discussione serrata tra i due ministeri sul punto più spinoso di riforma. La Commissione aveva riscontrato «l’inefficienza e l’inefficacia dei cpt», e suggeriva diverse misure per fare in modo che i centri fossero utilizzati soltanto per categorie marginali di immigrati irregolari. Quelli che, in sostanza, rifiutano il rimpatrio assistito e per i quali non c’è modo di studiare una forma di regolarizzazione.
Il principio in sé – cpt solo per gli «irriducibili» – sembra trovare sostanzialmente d’accordo sia Ferrero che Amato. I dolori iniziano quando bisogna mettere giù i punti, nero su bianco. Per quanto una legge delega non entri nello specifico, e si limiti a dare delle indicazioni di massima. Il ministro della Solidarietà sociale, però, insiste perché anche nella legge delega sia scritto chiaramente che non può transitare nei centri chiunque sia già stato identificato. Tutti coloro, cioè, di cui lo stato conosce nome, cognome e nazionalità. Vi rientrano, dunque, tutti i cittadini stranieri che entrano in Italia con un visto e si formano più del tempo stabilito, o coloro che hanno avuto un permesso di soggiorno e lo hanno perso. Teoricamente, anche quelli fermati, identificati e rintracciati successivamente dalla polizia. Il ministro dell’Interno, però, non è d’accordo. Ritiene questa specificazione eccessiva. Ne vorrebbe parlare una volta presentata la legge delega, che dovrebbe dare indicazioni più sfumate. Al Viminale c’è malumore per un testo che rimane nel cassetto. Ma Ferrero insiste. Forse, anche a causa del nuovo assetto di governo, affetto da spinte centrifughe. Chissà, è il suo timore, se la coalizione manterrà la stessa faccia anche tra un anno e mezzo. Il tempo che, si calcola, è necessario per varare un riforma sull’immigrazione. Per ora, la legge delega prevede interventi – generalissimi – sia sui centri di accoglienza che sui cpt. Per i primi – che la Commissione chiedeva di superare definitivamente – si prevede in effetti la possibilità di accordi con le strutture del territorio: dagli enti locali alle Asl, fino alle associazioni. Per i cpt si dice che non vi transiteranno gli ex detenuti (che verranno identificati in carcere) e le vittime di tratta. Ma l’esclusione delle «categorie» di immigrati si ferma qui. Si dice anche che il tempo di trattenimento dovrà essere ridotto, e che comunque l’espulsione ve eseguita entro il tempo strettamente necessario. Si prevede una regolamentazione dei diritti fondamentali della persona trattenuta. Nonché una specie di «operazione trasparenza» dei centri: potranno entrare giornalisti, associazioni e rappresentanti di enti locali.
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