Allarme Ue: per le donne stipendi più bassi degli uomini
Donne in carriera, poche e senza figli: alla nascita di un bimbo la madri vengono emarginate. Le lavoratrici penalizzate 45 volte più dei maschi
di MARIA NOVELLA DE LUCA
ROMA – Prima o poi si rinuncia. Ai figli. O alla carriera. Succede in Italia. In Europa. Lui e lei uguali, ai nastri di partenza. Stessa laurea, stesso master, stessa grinta. Poi lei resta incinta. È una festa, una gioia, però tutto cambia. Perché la maternità, oggi come ieri, non sembra andare d’accordo con il mondo del lavoro. È il dato più forte, allarmante, lanciato dalla Ue: le donne guadagnano il 20% in meno degli uomini, e dopo la nascita del primo figlio le loro possibilità di carriera si abbassano drasticamente. Il ministero inglese delle Pari Opportunità con una ricerca commissionata da Tony Blair è arrivato addirittura a quantificare questo svantaggio: nella “graduatoria” dell’avanzamento professionale una donna che lavora con un figlio al di sotto degli 11 anni, ha 45 punti di svantaggio in più rispetto ad un uomo… E in un lunga inchiesta che “Le Monde” ha dedicato all’esistenza o meno di una “via femminile” al potere, citando naturalmente l’effetto Segolene Royal, la sociologa Dominique Méda per dimostrare quanto la carriera penalizzi la maternità ha fatto il conteggio sui figli dei politici. Il risultato, analizzando ad esempio il governo Zapatero, è che gli otto ministri spagnoli in carica “totalizzano in tutto 24 bambini, mentre le otto ministre solamente cinque”. La sproporzione è evidente, e rende, bene, l’altra faccia della demografia in negativo.
È questo su tutti il dato che sembra colpire di più, nella giornata della donna anno 2007 in cui i bilanci sono sempre più transnazionali, uniscono cioè l’Italia alla Germania, l’Inghilterra alla Spagna, il Belgio alla Grecia, e ciò che accomuna le donne europee è che fare un figlio, o magari due è diventato un ostacolo, spesso insormontabile, al fare carriera, o al semplice mantenimento del posto di lavoro. Spiega Giovanna Altieri, direttore del centro studi Ires-Cgil, che al tema ha dedicato un lungo articolo dal titolo: “Sempre di più al lavoro, sempre meno pagate”. “Spesso accade che dopo una gravidanza i contratti non vengano rinnovati o che alla lavoratrice diventata mamma si faccia capire che il suo posto, quello conquistato a fatica con la laurea e magari il master, non sia più tanto adatto a chi ha un bambino da accudire.
E allora le mansioni vengono cambiate, ed è l’inizio in molti casi un retrocessione non dichiarata ma effettiva. È il primo passo di quello che gli esperti chiamano gender pay gap, termine tecnico per indicare quanto non solo in Italia, ma in tutta Europa, a parità di nastri di partenza, uomini e donne si ritrovino poi nel mondo del lavoro ben distanti gli uni dagli altri”. Ciò che le donne scontano, e questo è un aspetto tutto italiano, è la carenza di servizi che aiutino nell’accudimento di un figlio, e la rigidità degli orari di lavoro. Con il risultato che ancora oggi il 25% delle donne del Sud e il 19% di quelle del Nord dopo la nascita del primo figlio si ritrovano disoccupate. Un vero esercito che l’Istat ha catalogato con il nome di “lavoratrici scoraggiate”: la maggior parte abbandona perché assediata dall’impossibilità di conciliare maternità e professione, ma un buon numero, il 5,6 % viene invece licenziato allo scattare della gravidanza.
Un vero controsenso insomma, che mentre registra un boom di donne con alte specializzazioni, (il 59% di tutti i laureati della Ue), le penalizza fortemente nel desiderio di figli e maternità. Conclude Giovanna Altieri: “Tutte le ricerche dimostrano che le donne vorrebbero almeno due figli e sono spesso costrette a fermasi ad uno. Ma la rigidità del mondo del lavoro è uno dei principali motivi del calo demografico, anche in quelle coppie giovani, dove la divisione dei ruoli e la cura dei bambini sono finalmente paritarie e simmetriche”.
(la Repubblica, 8 marzo 2007)
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