by redazione | 21 Febbraio 2007 0:00
Politica estera del governo, il Senato dice no
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ROMA – «ITALIA PROTAGONISTA» – D’Alema aveva parlato al Senato per circa un’ora all’inizio della seduta, illustrando i vari ambiti in cui si sviluppa l’impegno della Farnesina e ricordando come il fondamento della politica estera dell’Italia sia l’articolo 11 della Costituzione che prevede il rifiuto della guerra. Il ministro degli Esteri aveva però rivendicato anche un ruolo attivo del Paese nella prevenzione dei conflitti in varie aree del mondo: «L’Italia c’è in diversi contesti internazionali e c’è con un ruolo da protagonista».
IRAQ E CASO VICENZA – L’intervento del ministro degli Esteri era stato contestato dalla Cdl, a cui non erano piaciute le prese di distanza dalle scelte compiute nei cinque anni dei governi Berlusconi. D’Alema aveva criticato l’unilateralismo americano e la scelta del centrodestra italiano di sostenere la guerra in Iraq. E su questi temi ha insistito nella sua replica agli interventi dei vari gruppi. «Noi non avremmo aderito alla politica neoconservatrice dell’amministrazione americana – ha detto D’Alema – e non avremmo mandato i soldati in Iraq. C’è una profonda diversità tra l’operazione militare in Afghanistan approvata dall’Onu, in base all’accertato fatto che ci fossero delle basi di Al Qaeda, e quella in Iraq, basata sulla menzogna dell’esistenza di armi di distruzione di massa: le due missioni non sono la stessa cosa». D’Alema, sollecitato da più parti, ha parlato anche del caso Vicenza, che non aveva voluto affrontare nella sua relazione: «Io ritengo che se il governo revocasse la decisione sull’ampliamento della base militare di Vicenza – ha spiegato – questo sarebbe un atto ostile nei confronti degli Usa».
POLITICA EUROPEA – Parlando ai senatori, all’inizio della seduta, il capo della Farnesina aveva precisato che sono tre le direttrici della politica estera italiana: «Rilancio dell’europeismo e dell’integrazione europea; svolta in Medio Oriente; e allargamento delle relazioni internazionali del nostro Paese». Sulla questione mediorientale, in particolare, il vicepremier aveva sottolineato che «l’Italia è tornata ad essere un Paese amico sia di Israele sia degli arabi e in questo contesto può esercitare un ruolo fondamentale sulla strada della pace». Il vicepremier ha ricordato che è stata ripresa la tradizione italiana dei buoni rapporti con tutte le nazioni dell’area del Mediterraneo, in parte abbandonata negli anni del governo della Cdl. E ha evidenziato la necessità di isolare il terrorismo all’interno del mondo arabo. L’assunzione del comando della missione Unifil in Libano, secondo D’Alema, è poi «un ulteriore riconoscimento del nostro nuovo ruolo politico internazionale». Per il vicepremier la missione libanese è importante perché per la prima volta Israele ha accettato un dispiegamento di forze ai propri confini, premessa per una possibile analoga azione di stabilizzazione anche a Gaza e in Cisgiordania. Quanto al governo palestinese, D’Alema ha auspicato il rilascio dei prigionieri israeliani il cui sequestro fu il pretesto per l’inizio delle ostilità con Beirut.
L’AFGHANISTAN – Sull’Afghanistan, D’Alema aveva spiegato che l’Italia ha rivendicato dinnanzi alle Nazioni Unite il ruolo di leading sulla missione «Unama» per la ricostruzione politica e civile e la stabilizzazione del Paese. Obiettivi che l’attuale intervento internazionale, basato soprattutto sull’opzione militare della missione Isaf, non è riuscito a centrare. D’Alema ha puntualizzato che molte delle personalità che oggi guidano le istituzioni afghane hanno radici nella sinistra e che con queste sia necessario dialogare. Per D’Alema, che ha evidenziato come nessun Paese al mondo ritenga che debbano essere ritirate le forze multinazionali di pace per evitare il ritorno del regime oscurantista dei talebani, va dunque rafforzato l’impegno civile. Inoltre l’Italia, ha detto il ministro degli Esteri, continuerà a lavorare per l’organizzazione di una conferenza internazionale di pace. «E’ una scelta difficile rimanere lì – ha detto D’Alema – ma solo essendo lì possiamo contribuire a scelte per la pace. Se non ci fossimo, non potremmo rivendicare il diritto di esercitare il nostro peso nella comunità internazionale». D’Alema ha detto che il governo non si nasconde i rischi della permanenza in Afghanistan, ma quei rischi sono necessari per poter continuare il processo di pace. La politica estera del governo non supera la prova del Senato. L’assemblea di Palazzo Madama ha respinto la mozione dell’Ulivo che chiedeva di approvare la relazione con cui il vicepremier Massimo D’Alema ha illustrato la strategia internazionale dell’esecutivo. Una strategia che il ministro degli Esteri aveva voluto inquadrare nella «tradizione italiana repubblicana», nel «programma dell’Unione votato dagli elettori», negli «interessi strategici del nostro Paese». Una strategia che vede uno dei propri capisaldi nella missione in Afghanistan, dove è importante continuare a restare «perché solo stando lì si può contribuire a lavorare per la pace». Ma proprio questa strategia non ha superato il giudizio dell’Aula: i voti favorevoli al testo illustrato da D’Alema sono stati 158, quelli contrari 136. A cui si aggiungono i 24 astenuti, che al Senato contano di fatto come dei no. Non è stata dunque raggiunta la maggioranza richiesta di 160 voti. Decisivi per la debacle i voti mancati all’appello da parte di alcuni «dissidenti» e senatori a vita.[2] In serata il premier, Romano Prodi, si è recato al Quirinale per «rimettere il mandato»[3]. (Corriere.it, 21 febbraio 2007)
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