by redazione | 6 Febbraio 2007 0:00
Un gruppo di saggi ha proposto di vendere parte delle enormi riserve in oro (3.217 tonnellate). L’usura sui debiti funziona poco e ricorre al mercato. In futuro pagherà chi chiede assistenza
(il manifesto, 6 febbraio 2007)
Maurizio Galvani
L’Fmi (Fondo monetario internazionale) è stato sinonimo di ricette neoliberiste, interessi usurai maturati negli anni sui capitali prestati, programmi di aggiustamento che hanno provocato «nuove» povertà, debiti impagabili. Una commissione di saggi – alla quale hanno preso parte sia l’ex-presidente della Federal reserve, Alan Greenspan che l’attuale capo della Bce, Jean-Claude Trichet – ha raccomandato la vendita di una parte delle riserve in oro, per sanare la crisi di questo organismo. Che è stato fondato più di sessanta anni fa – insieme alla Banca mondiale, con il trattato di Bretton Woods – come uno degli organismi abilitati a controllare la situazione a livello mondiale.
Gli Stati uniti – che hanno caldeggiato la costituzione sia dell’Fmi che della Bm – si sono sempre opposti a una riforma o a una abolizione di questi enti: forti della loro maggioranza (detengono il 17% delle quote dell’Fmi) hanno sempre posto il veto a qualsiasi possibile trasformazione. Anche in questo recente caso, per accettare la raccomandazione dei saggi dovrebbero ingoiare il rospo e permettere la vendita sul mercato di 400 tonnellate di oro, sul totale di riserve auree pari a 3.217 tonnellate. Il «problema» è semplice: l’Fmi presenta una situazione finanziaria con 100 milioni di dollari di perdite che, a fine 2007 potrebbero diventare 400 milionidi dollari. La collocazione sul mercato non dovrebbe alterare la concorrenza, e tuttavia il prezzo di vendita sarà pari a 500 dollari l’oncia (un’oncia è 31 grammi di oro) e non di 650 dollari l’oncia come le attuali. Il «sacrificio» dovrebbe portare nelle casse dell’organizzazione circa 6,6 miliardi di dollari che potrebbero essere reinvestiti e fruttare 195 milioni annui.
La proposta dei saggi – eletti dall’attuale direttore, lo spagnolo Rodrigo Rato – dovrà ora essere accettata dagli altri 185 paesi aderenti all’organizzazione (salvo il veto Usa) e viene a cadere in un momento particolare. Quattro grandi paesi (Argentina, Filippine, Brasile, Indonesia) hanno deciso di onorare gli oneri derivanti dai prestiti dell’Fmi. Hanno pagato sia gli interessi che il debito e la nuova situazione ha «spiazzato» la direzione dell’Fmi; perchè è un piccolo segnale del cambiamento. La fine di questa organizzazione, però, non è assolutamente suonata: la scorsa settimana, ad esempio, il neo-presidente del Nicaragua Daniel Ortega ha chiesto all’Fmi milioni di dollari «per affrontare la povertà del paese e realizzare programmi sociali», ha spiegato il dirigente sandinista. Tocca a Washington dare una risposta mentre si discute questa fase di cambiamento.
Il rapporto dei saggi suggerisce inoltre che l’Fmi si faccia pagare dal paese richiedente il prestito per le spese di assistenza tecnica. «Non tante voci di spesa – si sottolinea a Washington – per non scoraggiare le richieste di questi paesi». Dall’Fmi sentono ancora «pudore» quando si tratta di dare ricette e chiedere soldi a nazioni che sono sull’orlo del disastro economico (e non casualmente)?
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