La scarcerazione di Abu Omar un passo avanti verso la verità

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(la Repubblica, 12 febbraio 2007)

di GIUSEPPE D’AVANZO

La scarcerazione di Abu Omar può influire, in modo forse decisivo, sull’udienza preliminare che dovrà decidere, se rinviare a giudizio, per sequestro di persona ventisei agenti della Cia; l’ex-direttore del Sismi, Nicolò Pollari; l’ex-capo del controspionaggio dell’intelligence politico-militare Marco Mancini.

Tecnicamente forse, da un punto di vista processuale, cambierà poco. L’ufficio del pubblico ministero è convinto di avere in mano le carte giuste, gli argomenti credibili per poter dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità diretta nel rapimento del cittadino egiziano degli agenti venuti da Langley e la complicità diretta degli 007 di Forte Braschi.

Ma non c’è dubbio che il probabile ritorno di Abu Omar in Italia (dove è accusato di terrorismo), la sua presenza all’udienza, magari la sua testimonianza processuale o semplicemente le sue pubbliche parole restituiranno nuova drammaticità all’affare. Il ricordo delle violenze subite a Milano e – dopo il sequestro – nella base italo-americana di Aviano; delle torture patite nel braccio speciale del carcere egiziano – dopo il forzoso trasferimento al Cairo – spiazzeranno, metteranno in fuorigioco le molte frottole che l’intelligence italiana e statunitense hanno messo in circolo per alzare un polverone sulle loro responsabilità. Una per tutte, che Abu Omar non fosse altro che un “infiltrato” spione al soldo della Cia, che organizzò la messa in scena del rapimento semplicemente per salvargli la pelle.

Il ritorno in Italia di Abu Omar – ammesso che l’Egitto gli conceda di ritornare o l’Italia accetti di ospitarlo – non potrà che condizionare le scelte che, presto, attendono il governo e la Corte Costituzionale.

Come è noto, l’ex-direttore del Sismi Nicolò Pollari, che si proclama estraneo all’extraordinary rendition dell’egiziano, sostiene di non potersi difendere a meno di non violare il segreto di Stato che protegge ottanta documenti e gli accordi bilaterali sottoscritti dal governo Berlusconi con l’amministrazione Bush, all’indomani dell’11 settembre.

Il governo Prodi, confermando l’esistenza del segreto di Stato, ha deciso di sollevare un conflitto di attribuzione dinanzi alla Consulta per bloccare il processo di Milano. Al di là della congruità dell’iniziativa (il governo che non è parte in causa, a che titolo solleva il conflitto?), le prevedibili pressioni che nasceranno con un Abu Omar libero – libero di parlare – costringeranno l’Esecutivo a fare chiarezza sulla posizione da assumere. Che oggi appare confusa, ambigua, contraddittoria.

In più occasioni, i governi Berlusconi e Prodi hanno chiarito che sul sequestro di Abu Omar non c’è segreto di Stato perché di quella rendition nulla hanno mai saputo e quindi disposto e organizzato. Martedì scorso, invece, un colpo di scena. In un’intervista rilasciata al giornale indiano The Hindu, il presidente del Consiglio Romano Prodi ha detto che “il mio governo è contro ogni rapimento, ma il caso Abu Omar è coperto dal segreto di Stato: secondo le leggi queste carte non possono essere rese pubbliche, ed io l’ho riconfermato”.

C’è il segreto o non c’è? Se c’è, il governo dovrebbe ammettere di avere saputo almeno qualcosa di quel che la Cia andava preparando a Milano nel febbraio del 2003. La liberazione di Abu Omar può aiutare a fare chiarezza e a convincere il governo a venir fuori dal pantano in cui incomprensibilmente si è cacciato da solo.


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