Base Usa, Cgil contro Prodi

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Cinquecento delegati riuniti alla Fiera di Vicenza per discutere della manifestazione del 17: faremo cambiare idea al governo, com’è accaduto lo scorso anno in Francia. Divisione sulle bandiere dei partiti al corteo: l’assemblea permanente non le vuole, i comitati dicono sì

(il manifesto, 10 febbraio 2007)


Orsola Casagrande
Vicenza
La sala è quella delle grandi occasioni. Stracolma e in fermento. Hanno voglia di parlare i 500 delegati riuniti alla Fiera di Vicenza dalla Cgil. Si discute del Dal Molin e della manifestazione del 17. Vorrebbero intervenire tutti ma non è possibile, c’è a disposizione la sola mattina. Così si cercano di ridurre i tempi degli interventi, per dare comunque spazio a più persone possibile. Alberto della Fiom dice che non «è possibile ridurre la questione della nuova base americana a problema urbanistico. Le basi si costruiscono per fare le guerre e concedere il Dal Molin agli Usa significa accettare la politica della guerra permanente del presidente Bush». Tutti sono convinti che il 17 dovrà essere uno di quei giorni che segnano un nuovo inizio. Le parole più gettonate sono inevitabilmente «unità» e «imponente». La manifestazione, dicono tutti gli interventi, deve essere una prova di unità, pur nelle differenze che «per fortuna – sottolinea il segretario della Fiom Giampaolo Zanni – ci sono». E dev’essere una manifestazione imponente perché «più siamo e più conteremo». La speranza è quella di riuscire a far tornare sui suoi passi il governo Prodi. Anzi, più che una speranza è un obiettivo per molti delegati veneti. «Il governo francese – dice un delegato della Fillea – non ha avuto paura né vergogna di tornare indietro di fronte alle manifestazioni di protesta che ci sono state quando ha proposto una riforma del lavoro che non piaceva praticamente a nessuno. Di fronte ai milioni di giovani, studenti, lavoratori, sindacati, il governo si è fermato, ha preso atto e ha fatto marcia indietro. Spero che anche il mio governo abbia questa coerenza. Perché se non ascolta la base può darsi che fra qualche mese sia la base a non ascoltare più il governo magari su altre questioni, come la riforma delle pensioni». Applausi.
Il popolo del lavoro ha espresso soprattutto delusione nei confronti del governo Prodi che «in campagna elettorale ha detto delle cose e una volta al potere se l’è dimenticate». Insieme alla delusione e all’amarezza nei confronti del governo c’è, in quasi tutti gli interventi, una critica ai partiti. Se infatti vengono lodati e applauditi i parlamentari veneti che si sono autosospesi, la critica nei confronti del centro è invece forte. Lo ripetono in tanti che da Roma non è venuto nessun esponente del governo a parlare con i cittadini, ma non si sono visti nemmeno i leader dei partiti del centrosinistra. E questo peserà nel futuro delle relazioni tra centro e periferia. Perché, lo ripete Lalla Trupia, deputata dei Ds (autosospesa), «è inutile che qualcuno pensi di poter adesso aprire un tavolo per la riduzione del danno. Noi questa base non la vogliamo. E non vogliamo neppure che qualcuno cominci a azzardare ipotesi di uno spostamento a un’altra zona del vicentino o del Veneto». Non è facile, dice il segretario della Fiom, spiegare le ragioni del no nelle fabbriche. «Abbiamo il coraggio di dire – chiede alla platea Zanni – che parlare di base oggi nelle nostre fabbriche è difficile? Anche perché veniamo accusati di non difendere i lavoratori della caserma Ederle». Ma questo è un alibi, dicono in molti, perché in realtà «nessun modello di sviluppo basato sulla guerra può essere difeso».
Si arriva quindi alla manifestazione del 17. Che tutti vogliono unitaria e che però parte da due appelli. Quello del coordinamento dei comitati per il no e quello dell’assemblea permanente. Per i delegati della Cgil intervenuti ieri il problema è sostanzialmente uno. «Dobbiamo essere in tanti e portare le nostre identità e specificità». Quindi anche le bandiere che ieri all’attivo Marco Palma, del presidio permanente, raccogliendo una richiesta pressante di tanti cittadini, ha nuovamente chiesto di non portare. Come protesta concreta e visibile nei confronti di quei partiti del centrosinistra che hanno comunque accettato la decisione di Prodi e del governo. E anche per sottolineare che ci sono altre forme di espressione della democrazia. Insomma la questione delle bandiere mette il dito nella piaga, cioè nella crisi della rappresentanza. Ma per i delegati «è importante portare le bandiere perché solo così riusciremo ad aprire una contraddizione reale all’interno degli stessi partiti». Il segretario della Cgil di Vicenza, Oscar Mancini, sintetizza in una frase: «I partiti hanno bisogno dei movimenti e i movimenti dei partiti. Perché i cittadini devono avere una rappresentanza politica». Sì alle bandiere anche per «dire no all’auto-espulsione dalla politica», sostiene un delegato Filtea. C’è l’idea che sia «anti-politico» manifestare senza bandiere. In realtà i movimenti l’hanno già fatto vedere, a Genova e prima ancora a Seattle. O in val Susa dove le uniche bandiere che sventolavano erano quelle No Tav.

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