Nomadi uguale stranieri? Un pregiudizio: più della metà sono italiani
Lo rivela una ricerca nazionale condotta dall’Ismu, di cui anticipiamo i dati della Lombardia. In regione vivono tra i 10 e gli 11 mila nomadi, di origine Rom e Sinti. Tosi: i campi? In Italia prevale l”’urbanistica del disprezzo”
MILANO – Nomadi uguale stranieri? Un pregiudizio da sfatare. In Lombardia, più della metà dei nomadi residenti sono cittadini italiani. Lo rivela una ricerca nazionale condotta dall’Ismu che verrà presentata all’inizio di marzo. Anticipiamo i dati relativi alla Lombardia.
Secondo questo studio, realizzato attraverso dei questionari distribuiti in tutti i comuni lombardi, nella Regione vivrebbero oggi tra i 10 e gli 11 mila nomadi, di origine Rom e Sinti. Solo nella città di Milano sarebbero 4 mila, un numero che sfiora i 6500 se si contano anche i nomadi che vivono in Provincia. Il censimento però non riguarda solo le persone, ma anche gli insediamenti collettivi: in Lombardia sarebbero quasi 350, circa un terzo quelli gestiti dalle amministrazioni locali, ma il 45% dei campi risulterebbe comunque regolare: i terreni occupati sono infatti di proprietà di famiglie zingare.
Restano esclusi dall’indagine i nomadi che abitano in case private e di edilizia popolare. “Quando firmi un contratto di locazione non sei tenuto a dichiarare le tue origini – dice Antonio Tosi, docente di Sociologia urbana del Politecnico de Milano, che ha curatore il “censimento” insieme a Maurizio Ambrosini -. E poi penso sia anacronistico definire nomadi queste persone: in gran parte si sono sedentarizzati”. Anche quelli che vivono in roulotte hanno smesso di viaggiare. comprano un terreno agricolo, e si fermano lì con tutto il nucleo familiare. “Pagano poco, visto che la terra non è edificabile e si sistemano – prosegue Antonio Tosi -. Certo, non possono costruire, altrimenti verrebbero denunciati per abusivismo edilizio, ma in molti comuni la loro presenza viene tollerata perché non occupano suolo pubblico o privato”.
Quella dei campi nomadi appare come una soluzione tutta italiana. Nel resto d’Europa si preferiscono soluzioni abitative più stabili. “Si costruisce molto – spiega il docente -. Ad esempio in Spagna sono stati creati dei veri e propri quartieri, mentre in Francia i campi sono solo aree di transito temporanee. Da noi prevale l’urbanistica del disprezzo: nessun cittadino italiano in difficoltà andrebbe vivere in via Triboniano a Milano”. Villaggi, campi, case popolari: ogni luogo sembra buono, per chi cerca casa. In Lombardia prevale il progetto dei micro villaggi, in Toscana la corrente del “tutti in appartamento”. “La risposta deve essere diversificata: ogni persona deve poter scegliere dove vivere, se in comunità allargate o in un palazzo – dice Antonio Tosi -. Interessante sarebbe coinvolgere i nomadi in un processo di auto-produzione, dando loro assistenza tecnica”. (eps)
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